
IL COSA ED IL DOVE
L’Hotel Savoy ha ospitato ancora una volta un evento di quel GO WINE che, oltre a non poter non ringraziare per l’invito, tanto si prodiga, a mio modestissimo parere, per valorizzare il vigneto italia.
BUONO…NON LO CONOSCEVO è il format scelto per porre l’accento sulla vastità del patrimonio ampelografico italiano e presentare al grande pubblico quelle piccole realtà troppo spesso oscurate dai grandi nomi del vino italiano più per poca curiosità da parte nostra (poco inclini alla curiosità) che per vera colpa del mercato e per
Una trentina le Aziende presenti e, per fortuna, i produttori a metterci la faccia.
Un giro veloce tra i tavoli, l’occhio che scruta, la mente che elabora un programma che sicuramente non rispetterò, e: stavolta decido di dedicarmi un po’ a quel Piemonte che poco conosco e fare solo qualche piccola divagazione (poco tempo e troppi vini non vanno d’accordo).
In realtà, un buon 40% delle Aziende lo conoscevo, ma tra le restanti intravvedo diverse cose che suscitano la mia curiosità.
Comunque: da chi cominciare se non dal primo banco?
IL PIEMONTE
DIEGO PRESSENDA c’ha tredici ettari (uno per ciascuna etichetta) a Monforte d’Alba e fa circa 70000 bottiglie.
Mi metto in modalità “consiglio” e, saltati i bianchi (ahimè ancora troppo caldi), accetto di buon grado il primo giro di quello che dovrebbe essere il cavallo di battaglia dell’Azienda: “LA” Barbera d’Alba Superiore “ARIOTA” 2019.
Mostra subito quanto un Territorio come questo possa dare in termini di vini strutturati ed, al contempo, quanto la quota (ca. 500m slm) possa regalare in termini di profumi.
Spiccata l’acidità e quella viola che compare sui prati accarezzati dalle brezze.
12 mesi di barriques di 2° passaggio, stondano gli spigoli senza influire minimamente sulla bevibilità di un prodotto da cui sarà difficile staccarsi.

“BARBADELCHI” 2017 è il Barolo della serata.
48 mesi, di cui 30 in botte grande, dovete aspettare per assaggiarne il mix di spezie con cui Vi accoglie.
È poi la volta dei piccoli frutti di rovo e di bosco che precludono ad una certa “piccantezza” avvolta in note balsamiche e clericali.
Caldo, di bella struttura e di savoiardi tannini

Il secondo Piemonte mi attira per le etichette e mi acchiappa con il piglio di Bisso Atanassov (che, sono andato a curiosare, mica è uno qualsiasi!), bulgaro si, ma pure russo e, soprattutto, di Neive che oltre a scoprire poi quanto è bravo come winemaker, ti calamita al tavolo dimostrando competenze e passione raramente riscontrabili e si aggiudica per questo il SuperPremio “UICHIPEDIA“.
Cinque le etichette (di tre Aziende), e queste, che fanno man bassa dei miei ambitissimi premi: le assaggio tutte (il perchè lo capirete da soli leggendo un seguito che, per forza, deve parlare anche un po’ di storia)!
I bianchi si chiamano “MUS-QUILA” ed “A-QUILA” e sanno di Moscato e Favorita.
I rossi sono “MX-QUILA”, “FER E RISU” e “ALBAROSSA”, al secolo: Moretto, Freisa e Albarossa.
Il Moscato è una delle varietà più antiche al mondo e la sua popolarità è dovuta alla sua riconoscibilissima aromaticità ed alla possibilità di produrvi vini dolci sia fermi che vivaci. Una delle più recenti varietà è quella di Alessandria coltivata per oltre quatromila anni dall’Antico Egitto ad oggi.
Oggi spetta al Piemonte detenere il primato della maggior estensione vitata di moscato: 9700ha.
Il clone locale è quello di Canelli, piccolo centro vicino a Cossano Belbo dove QUILA ha i suoi vigneti.
La popolarità del moscato in Piemonte inizia con il XX sec, e l’inizio della sua spumantizzazione (Metodo Classico e/o Martinotti).
In Piemonte, nessuna denominazione ne consente la vinificazione “secca” e nessuna DOC(G) ne permette l’utilizzo in vini fermi.
Le uve sono caratterizzate da una massiccia presenza di terpeni che conferisce ai vini un tipico aroma di gelsomino ed un distintivo “amaricante” apprezzabili nei caratteristici e rarissimi (a livello mondiale) prodotti della loro vinificazione “secca”.
Bisso, fino al 2017, non aveva ma considerato interessante il Moscato.
Perchè cambi opinione, ci vuole una visita a Lemnos (dove il Moscato è sostanzialmente l’unico vino prodotto), l’assaggio di una discreta quantità di etichette e la compagnia della donna che ne azzardò l’abbinamento con un piatto di agnello: quella Natalia Platonova cui è dedicato “MUS-QUILA” (833 bottiglie).
Nel 2019 acquista 3.5ha di vigna a Cossano Belbo (est Langhe), dove ha ora sede l’Azienda QUILA, coltivati quasi solo a moscato e decide che il futuro di quelle uve sarà un vino secco.
Nonostante la posizione dei vigneti (esposti a Sud e molto ripidi), raccoglie le uve abbastanza tardi, aspettando che l’azione del sole distrugga buona parte dei terpeni delle uve, le mette in tini di rovere sull’assolata terrazza della cantina e aspetta cinque mesi.
Nel 2021 acquista un’altra vigna di moscato a Canelli accorgendosi che era tutta coltivata a Moscato di Alessandria (Zibibbo) parente dell’altro ma non fratello.
Il dubbio sorge spontaneo e, l’analisi attenta dell’altro appezzamento rivela che, anche in questo, circa il 30% (essenzialmente le viti più giovani) è Zibibbo.
Il prossimo progetto è quello di raccogliere e vinificare i due cloni separatamente.
Questo 2020 (o meglio: MMXX come da etichetta) è vinificato con i lieviti del Sauvignon e…ecco che il mazzo di fiori che questo porta in dono, pareggiano nel tempo il cesto di agrumi che il Moscato mette in tavola.
L’equilibrio è magico e volutamente misteriosa la gamma di abbinamenti che mi vengono in mente.
Provate e crederete.
A proposito: vince il mio premio “NEVER SAY NEVER“!

La Favorita (ufficialmente Vermentino B), originaria della Spagna ed attualmente diffusa soprattutto in Liguria (qui è il Pigato Ligure), la costa Toscana e la Sardegna (ma anche in Provenza e Corsica) è menzionata in Piemonte (come Fermentino) sin dal 1658.
Pare fosse il vino preferito da Bella Rosin, moglie morganatica di Vittorio Emanuele II, da cui il nome piemontese “Favorita”.
È stata la prima uva che Bisso ha lavorato in Piemonte (2012) in un appezzamento vicino Alba e, forse, quella cui dedica la maggior parte dei suoi “esperimenti”: anfore, legni, tempi di macerazione luuunghi…
La Favorita risulta essere particolarmente capricciosa e solo il 20% dei nuovi impianti sopravvive dopo l’innesto, quindi, anzichè piantarne 1ha, ne ha piantato solo 0.2 ma con risultati sorprendenti.
Il primo anno di produzione dei nuovi impianti sarà il 2023.
“A-QUILA” (381 bottiglie) viene vinificato in un’anfora di cocciopesto (quello etrusco) da 10hl con pareti spesse che consentono un eccellente controllo delle temperature e vince il mio premio “BEST IN SHOW“.
Dopo la malolattica spontanea, questo 2019 è rimasto sulle bucce per centocinquantagiorni (5 mesi), diventeranno duecento, s’è poi riposato altri 12 mesi in rovere francese e, dopo tutto sto tempo, non ha bisogno di essere chiarificato e non viene filtrato.
Una aromaticità senza uguali, lemon grass e salvia preludono ad un ampio corredo di spezie bianche ed ad un sorso carnoso e sapido.
Una nota in calce: io che, per i motivi che sapete, amo i vini freddi, questo lo servirei come se fosse un rosso.

Il Moretto è una delle 9 varietà ancestrali del nord italia.
Dei ca. 700ha ancora censiti nel 2010, alla fine del 2014 ne erano rimasti praticamente zero.
Conosciuto come “Uva Balorda”, veniva piantato nei posti peggiori, germogliava tardi, maturava presto e, riuscendo così ad evitare le gelate primaverili e le piogge estive veniva usato per colmare i gap delle altre uve.
La parte figa della storia del Moretto, inizia nel 1907 ad opera di Stefano Ferro che, dopo la laurea alla Scuola enologica di Alba, da Calosso (AT), si trasferisce in Messico (qui, nel 1930, diventerà capo cantiniere a Santo Tomas, una delle prime cantine di Baja California).
Dal Piemonte al Messico con una bella dote di barbatelle di Barbera, Dolcetto e Nebbiolo.
Tra queste c’era pure il Moretto che, camuffato sotto le mentite spoglie di Nebbiolo (potere degli errori di classificazione) verrà piantato nei posti migliori e con la massima cura, vinificato come tale e darà i vini più cari della regione (arrivando a costare il triplo dei migliori Cabernet e producendo ancora oggi uno dei vini più premiati del Messico).
Differenti pratiche di campagna e diverso clima fanno si che quella precocità che da noi lo fa maturare prima del Dolcetto, in Messico si trasformi in tardiva raccolta.
Questo “MX-QUILA” (280 bottiglie) è il primo tentativo (prodotto con uve provenienti da una vigna vicino Tortona) di riportare grande vino nella sua terra di origine (gli impianti di QUILA saranno produttivi nel 2023).
Sullo stile messicano, il vino viene vinificato come fosse un cru di Barolo o Barbaresco.
Il risultato è un vino più tannico di quelli da Nebbiolo (Barbaresco) ma con tannini decisamente più di “classy” (più fini e meno astringenti).
A discapito del poco alcol, ha una elevata concentrazione di acido malico (con quel che ne deriva), un grande estratto secco (più di un Amarone), ed è molto colorato se confrontato con le uve locali.
La disarmante freschezza del sorso va a braccetto con tannini che hanno la massa di un buco nero ed una setosità tutta da sfogliare.
Un vino per i curiosi (cui va dunque il mio personalissimo premio “CURIOSITY KILLED THE CAT“) che, in qualche modo, vorrei ora cercare di confrontare con un “Nebbiolo Messicano”.

“FER E RISU” (1030 bottiglie) di TAVERNA, è Freisa (ma pure Barbera per un 15%) ed esce dai tonneaux nuovi dopo 15 mesi.
Il Freisa è uno degli autoctoni piemontesi.
Di origine sconosciuta (geneticamante è uno dei figli del Nebbiolo) è diffuso principalmente nel Monferrato (nelle Langhe non c’è quasi più) e, nel 2017, se ne sono celebrati i 500 anni dalla prima denominazione.
Cottà è un cru sulle argille del comune di Neive dove veniva piantato vicino ad una vigna di Barbera e sempre vinificato (e non dichiarato) con questa fino a quando, nel 2019 non ne è stato separato (da cui il mio premio “GHOST“).
“FER E RISU” (ferro e ruggine in piemontese) ha la musicalità del Freisa e ne rispecchia il carattere: il pugno di ferro dei tannini della gioventù, ed un colore che evolve nobilmente al ruggine.
Vinificato parte in acciaio e parte in legno viene poi assemblato e lasciato per un anno in quest’ultimo.
Duella per aromaticità con la Favorita di “A-QUILA”, aggiungendovi uno spettro olfattivo ovviamente più ampio che spazia dinamicamente dalla viola al lampone ed alla pesca passando per inciampi terragni di bosco e finendo di cuoio e cioccolato extra-fondente.

TENUTA FORESTA fa ‘sto “ALBAROSSA” (433 bottiglie) in 10 mesi di barriques nuove.
Piantato per desiderio di novità nell’unico vigneto distante dalla cantina, questa 2019 è il frutto della prima vendemmia.
L’Albarossa è un incrocio “sbagliato” pensato nel 1938 dal Prof. Giovanni Dalmasso che, dai due vitigni principe del Piemonte, Nebbiolo e Barbera, voleva crearne uno che potesse essere il Simbolo della Regione.
“Sbagliato” perchè, recentemente, si è scoperto che il Nebbiolo di Dronero usato, non è un clone del Nebbiolo ma Chatus.
Come vino, l’Albarossa ha si il colore carico dello Chatus ed i tannini, la ricchezza aromatica della Barbera ma pure i loro difetti: la maturazione precoce del primo e l’acidità elevata e l’elevato accumulo di zuccheri della seconda.
Il risultato è una sfida per quei pochi che vogliono farne un vino (acidità elevatissima e difficoltà di vinificazione), ma i risultati sono tutti da assaggiare.
L’etichetta è un corvo di Kiko Perotti (artista veronese), l’uccello con le piume più nere tra tutti quelli locali e l’assaggio è scuro ed al contempo luminoso come quelle.
Spezie, terra e foglie secche contrastano frescosità mentolate.
Interessante il coerente assaggio che si chiude in una lunga scia agrumata.
Alui il mio premio “BLACK ELEGANCE“.

LA TOSCANA
MONTALBINO è una Toscana giovane e dinamica che a Montespertoli (FI) mette a frutto 5ha vitati sui 90 totali dell’Azienda.
Solo “autoctoni” (Sangiovese, Canaiolo, Colorino, Fogliatonda, Trebbiano Toscano…) per quattro etichette che uniscono alla tradizione un po di sano movimento.
Minimi interventi, BIO certificati ma, soprattutto, l’idea che il basso impatto sia un modo di rispettare un qualcosa che non ci appartiene realmente.
Il “MONTALBINO” bianco è Trebbiano Toscano con un po’ di Malvasia del Chianti ed è amicone ed immediato come si conviene ad un vero “toscanaccio”.
Fiori e frutta quanto basta e tanta freschezza.
Il “MONTALBINO” rosso è Fogliatonda, Canaiolo, Colorino e Sangiovese.
Anche lui punta sull’essere diretto e di facile beva.
Un naso giovane ma non scarno ed un sorso congruo di bella freschezza.
Il “CHIANTI MONTESPERTOLI” DOCG alza l’asticella aggiungendo richiami di spezie e sottobosco ed allungando il sorso senza perdere contatto con il naso.
Il “ROSATO DI SANGIOVESE” è una new entry ma non si discosta punto da quel filo conduttore che accomuna tutti i vini dell’Azienda.
Scarsissimo di colore (come deve essere) ingentilisce il Sangiovese senza snaturane le peculiari spigolosità ma sottolineandole quel tanto che serve a renderlo quel vino interessante che Vi spingerà al secondo bicchiere.
A proposito: ci sarebbero pure 2000 piante di ulivo di cui mi piacerebbe assaggiare il prodotto imbottigliato, chè, se tanto mi dà tanto…

L’EMILIA ROMAGNA
Di PODERE RIOSTO avrete già letto su queste pagine, ma un ripasso non fa mai male (soprattutto quando alla Qualità degli assaggi si affianca la simpatia del Produttore).
Di nuovo, per il mio palato, c’è il “FANTINI VECCHIO RIOSTO”, 100% Vite del Fantini (piede franco ed un sacco di altre cose).
Se posso permettermi, trovo che abbia una marcia in più rispetto allo spumante “4U FOR YOU” che viene prodotto dalle stesse uve.
Vinoso, poco persistente ma…maledettamente “femmina”!
Ti fa l’occhiolino, ti seduce, ti porta sulla cattiva strada.
Più che un vino, un’amico.
Non ve ne basterà una bottiglia, anche perchè ha un insolito finale amaricante che, come le donne, sa di mistero.
Questo vince il mio premio “CATTIVE RAGAZZE“.

LA PUGLIA
La Puglia è quella di DOMUS HORTAE, 15ha di Tavoliere vicino a Foggia (Orta Nova) per fare 35000 bottiglie solo con uve storiche della zona (e solo da monovitigno).
“KALINERO” 2018 è Nero di Troia.
Solo acciaio per queste uve raccolte dopo la metà di Ottobre.
Dai frutti di bosco maturi alla frutta ecca passando per agrumi ed amarene fino al pepe nero macinato al momento (ed una nota di “casa al mare”).
Robusta spalla acida a dare manforte alla giusta morbidezza per un assaggio piacevolmente immediato.

“REMOTO” 2019 è un Primitivo cui il calcare di questa parte di Puglia regala freschezze che nel Salento sarebbero impossibili.
Un bel banco di frutta con prugna ed amarena a guidare la batteria e poi una nota di terra bagnata ad aprire alle spezie.
Coerente l’assaggio con una fitta rete tannica a supportare una vivace freschezza

“1788” 2018 è di nuovo Nero di Troia, ma qui ci vuole un altro mese per portare in cantina le uve lasciate in pianta ad appassire.
Fragole e frutti rossi sono solo l’incipit di un naso complesso e da sfogliare con attenzione tra le note amaricanti di rabarbaro, liquirizia, caffè e cacao.

Di inaspettata freschezza e marina sapidità, sfoggia tannini setosi e solarità.
“D.H.E.S.” 2018 ci riporta al Primitivo.
Peposo e balsamico, sfodera muschi ed humus senza dimenticare il tabacco.
Tannini di classe ma ancora “pistoleri” per un assaggio forse un po’ “prematuro”.
A questo ed a “1788” assegno il premio “MENTITE SPOGLIE” per la capacità di mimetizzarsi da haiku, mascherando tomi da sfogliare.

E MO?
Ora non c’è che da aspettare il prossimo evento GO WINE per imparare qualcos’altro.
O meglio: ora comincia il bello: andare a rompere le scatole a quelle Aziende che m’hanno stuzzicato per indagare a fondo, capire di più ed assaggiare con più calma e consapevolezza.