IL COSA ED IL DOVE
VINO E ARTE CHE PASSIONE 2021 è l’evento promosso da CT CONSULTING EVENTS con l’intento di accomunare il bello ed il buono in un’unica esclusiva location.
La Galleria del Cembalo di Palazzo Borghese a Roma ha accolto una cinquantina di Aziende e richiamato un gran numero di appassionati (all’arte non so ma al vino sicuramente).
Un po’ troppo caos per i miei gusti, mi rendo conto che è difficile tenere a bada le masse assetate, ma un minimo di controllo nella gestione degli accessi sarebbe stato forse necessario.
Tuttavia, il parterre era di assoluto livello con, in prima fila ed in bella mostra, la fiera pattuglia della TRENTO DOC (presa ovviamente d’assalto) ed altre belle realtà più o meno note a fare da augusto contorno.
Vista la difficoltà di organizzare un percorso di degustazione ordinato, ho ritenuto cosa saggia affidarmi al naso ed al caso, ponendo l’accento ancora sul Piemonte (grazie per le segnalazioni ad Edoardo di WINEFOOD 2.0) per completare un quadro iniziato la settimana scorsa, fare un giretto nella misconosciuta Umbria e salutare qua e là qualche vecchia conoscenza.
LE REGIONI ED I MIEI ASSAGGI
IL PIEMONTE
Parlare di questa Azienda richiederebbe ben più delle poche parole che potrò spendere in questa occasione e, parola di boy scout, lo farò al più presto, regalandomi un assaggio (con conseguente scia emozionale) più consapevole dei Loro vini.
Intanto, non c’è niente da fare: il binomio donne-vino non mi tradisce mai!
Un’Azienda a trazione cromosomica “XX” che si merita il mio personalissimo premio “NON CE N’È PER NESSUNO” per essere stata, in questa occasione, l’unica veramente in tema con l’evento.
La fighissima e dannatamente poco “sabauda” brochure, curata dall’umbro Edoardo Chiaraluce, è un vero “manifesto” (nel senso più ampio del termine) e non può non colpire l’occhio ed il cuore prima che i vini colpiscano anche gli altri sensi.
È nell’ultimo dei cinque piccoli paragrafi che illustrano Storia, Terroir e mission aziendale, che ben si evidenzia la voglia di condividere emozioni che, superando l’edonismo enoico, coinvolgano mondi, arti ed artisti, l’immateriale ed il sociale.
30ha di Monferrato, ca. 100000 bottiglie per farci 13 etichette (di cui cinque presenti) ed una certa “inclinazione” per “LA” Barbera (forse perchè femmina pure lei).
Un pezzo di storia vitivinicola piemontese che affonda le radici nel lontano 1600 ad opera di quel Giorgio Tenaglia, capitano di ventura mantovano prima e Governatore di Moncalvo poi, che amava la Barbera a tal punto da volersene circondare per rilassarsi nelle pause tra una pugna e l’altra.
Il “GRIGNOLINO DEL MONFERRATO CASALESE” 2020 è un vino così, quello della tavola e dell’amicizia, quello delle salsicce e dei fagioli!.
Giocato su mazzi di fiori e note di umide felci.
Gli accenni speziati ne completano un quadro olfattivo assolutamente in linea con un assaggio semplice, dinamico ed identitario, fresco e sapido il giusto, tannico quel tanto da renderlo interessante e dal finale singolarmente ammandorlato.
Ancora Grignolino del Monferrato per il secondo round.
“MONFERACE” è un progetto del 2015, l’idea di 10 Produttori di legare il Grignolino al Territorio.
Solo cloni autoctoni e non “di vivaio” che potranno fregiarsi in etichetta del toponimo storico del Monferrato solo dopo aver passato almeno 2 anni in botte e 2 in bottiglia.
Gerani ed arance rosse introducono a tabacco, cuoio e note terragne.
Lineare l’assaggio, caldo, sapido e di ribelle dinamicità (perfettamente identitario se si pensa al rapporto tra i Monferrini ed i Savoia).
La Barbera d’Asti “BRICCO” non è che una delle cinque interpretazioni che l’Azienda fa di un vitigno di cui mi rendo sempre più conto di essere ormai tra i pochissimi, forse perchè anziano, ad apprezzare ancora la versione “vivace” (che, mannaggia la paletta, qua non c’è).
Da uno dei cru dell’Azienda nasce questa 2019 classica e “femmina”.
Truccata di ribes, profumata di viole e graffiante di salvia.
La seconda Barbera della serata è dedicata al fondatore “GIORGIO TENAGLIA” ed è del 2018.
“Granata” come il “Grande Torino”!
Qua sono le spezie ad aprire le danze ed il cuoio a comandare con accenni di piccoli frutti neri nascosti in una nube balsamica e minerale.
Freschezza e brio spiazzano un po’ l’assaggio rendendolo poco anglosassone ma comunque di grande eleganza e coerenza aromatica.
L’ultima Barbera ha un nome importante: si chiama “EMOZIONI” 2015 ed aggiunge al quadro del precedente una bella nota di arancia sanguinella.
Morbido e vellutato, damascato ed opulento, sabaudo nel profondo ma ancora sorprendentemente fresco di prati e di viole.
Un vino per pensare, da soli o in compagnia, magari con una donna…
Anche qua si comincia alla metà del ‘600.
La proprietà è da sempre della Famiglia Sella, quella di tale Quintino che, tra le altre cose, ha pure fondato il CAI.
L’Alto Piemonte è quello di Biella, quello del super-vulcano, quello che in realtà è un pezzo d’Africa, quello che cent’anni fa c’aveva 10000ha vitati e che poi s’è dedicato alla trasformazione delle lane.
23ha e circa 80000 bottiglie individuano un’Azienda “grande” per la zona in cui si trova.
In assaggio ci sono due vini di quella denominazione “Lessona” che, per volere di Quintino, si bevve nel 1870 sulla tavola che celebrava l’Unità d’Italia (altro che Champagne).
Etichette rigorose, in bella mostra non il vitigno ma il Territorio ed i suoi Toponimi.
“LESSONA” è l’archetipo dei “nebbioli del Nord”, cerca eleganza e non grassezza, dritto, lineare come le strade di Torino.
Estremamente territoriale, lascia intravvedere sabbie marine su un orizzonte alpino.
Naso rigoroso e didattico giocato tra viole e gerani, humus e soffi balsamici.
Scorrevole l’assaggio, supportato da una trama tannica regale.
Spiazzante per quel suo dualismo aristocratico ma “sciolto”.
“SAN SEBASTIANO ALLO ZOPPO” 2011, se possibile, alza il tiro.
Dal cru storico di una famiglia che, come sempre accade per nobili e prelati, poteva contare sempre sugli appezzamenti migliori.
Impianti centenari in cui le necessarie e fisiologiche “sostituzioni” vengono da sempre effettuate con cloni antichi ormai introvabili a dimostrare quanto la Famiglia Sella abbia sempre messo il Territorio innanzi a tutto.
Aggiungete al precedente corredo olfattivo un lungo piano sequenza di rabarbaro, tabacco ed umido bosco in un’atmosfera iodata.
Nessuna sorpresa all’assaggio meravigliosamente corrispondente.
Scioccante quel richiamo marino che sa di mari sepolti.
L’EMILIA ROMAGNA
È quella di UMBERTO CESARI che, per i miei standard, non è grande: deppiù!
355ha e più di tremilioniemezzodibottiglie!
Comunque, il “LIANO” Bianco 2019 dal quale comincio è davvero una bella sorpresa.
Chardonnay e Sauvignion, spalle larghe e nouances suadenti.
Un naso che sa di “soffitta” (scusate il termine poco eno-fighetto, ma è quella soffitta in cui non eri mai entrato e che ti fa scoprire cose inaspettate).
Gioca tra la frutta secca e la frutta a polpa gialla senza dimenticare spezie dolci ed agrumi.
L’assaggio, dannatamente anglosassone, spicca per dinamicità e sorprende per endurance.
Vince il mio premio “AZZ”.
“LIANO” Rosso 2019, divide col primo il nome, cambia casacca, mette insieme Sangiovese e Cabernet Sauvignon ma, nel profondo, è il “gemello diverso” del primo.
Perde qualche punto nella corrispondenza gusto-olfattiva per il fatto di colpire il naso con il Cabernet ed avvolgere il palato con il Sangiovese.
Peccato che il bell’equilibrio sia, per ora, in parte castrato dal non perfetto “gemellaggio” tra i due vitigni.
“TAULETO” 2014, al Sangiovese aggiunge un’idea di Longanesi e fa il misterioso.
Il naso è tutto da “spizzare” come le cinque carte a poker.
Attacca con piccoli frutti rossi, si difende con noce moscata e chiodi di garofano, ed affonda il colpo con note di camino e sacrestia.
Più elegante del “LIANO” Rosso ma meno dinamico.
L’UMBRIA
Cominciamo da quella “NUOVA TENUTA PARADISO” che ci sta ancora ma respira un po’ di Toscana.
Una trentina di ettari di cui 5 dedicati ad un Pinot Nero da cui nascono 3 etichette.
Il “METODO CLASSICO” s’è riposato 36 mesi sui lieviti ma ancora non si è svegliato.
Peccato per una bolla un pochino invadente ed un naso importante cui segue però un assaggio piuttosto “corto”.
È una new entry e come tale va comunque premiata perchè, in un futuro prossimo, si dimostrerà un cavallo di razza.
“THEROS” 2020 c’ha un colore “misterioso” ed intrigante.
Figo, dinamico, diretto.
Ad un naso chirurgico di ciliegia e fragoline di bosco su uno sfondo di mentuccia, corrisponde l’assaggio.
Quel bel bere di cui spesso ci si dimentica.
“PINOT NERO” (con il numero di bottiglie in bella mostra) è fratello maggiore del rosè.
L’etichetta, che personalmente mi piace un sacco, evidenzia una serie di diagrammi che ben descrivono un vino che vince il mio premio “QUADRATURA”.
Ad un naso sferico, corrisponde un assaggio quadrato in un alternarsi di spigoli e curve che mi spiazza e mi intriga.
Scomposto ma non maleducato, se la gioca tutta nel bosco dal quale trae piccoli frutti e note di terra umida prima di virare su spezie pepose.
Giovani e pistoleri tannini conducono ad un finale di buona sapidità e allungo.
Poi c’è POMARIO.
8ha in zona Perugia ben condotti da mano di donna.
“BATTICODA” 2020 (Grechetto e Trebbiano) ha un naso di campo tutto da sfogliare.
Il finocchietto selvatico, se la batte con una singolare speziatura.
Decisamente salato chiude su erbe aromatiche.
Di “ARALE” 2019 (Trebbiano e Malvasia) avrei bisogno di un secondo assaggio perchè, confesso di non aver capito appieno.
Davvero spiazzante il naso “ferroso” che prelude ad erbe aromatiche ed agrumi.
All’assaggio l’importante nota salina crea uno strano contrasto con l’abbondante morbidezza.
Mi riprometto di dedicargli il tempo dovuto in un contesto meno “profumato”
“SARIANO” 2017 è davvero una bella prova di Sangiovese.
Croccante di frutti rossi in un’atmosfera di sottobosco umido, chiude su note di tabacco.
L’assaggio, elegante e didattico, aggiunge un tocco di boero al bouquet olfattivo.
Il “MUFFATO DELLE STREGHE” è magico.
Riesling e Malvasia ci trasportano nell’empireo dei grandi muffati.
Croccante di mandorle e sbuffi agrumati sovrastano erbe aromatiche e note salmastre.
Un assaggio elegante di agrumata freschezza a duellare con una dolcezza mai invadente.
Più che bello, figo!
L’ABRUZZO
TENUTA PESCARINA è una vecchia conoscenza (leggeteVi l’articolo a loro dedicato) che riassaggio volentieri anche per il grande impegno che sta mettendo nella ristrutturazione del seicentesco convento di Spoltore. (Binomio arte vino)
“IL CONVENTO” 2019 è il loro Pecorino.
Il naso racconta di fieno e colline e, fortunatamente dimentico di frutti esotici, pone in risalto agrumi e pere.
Un sorso caldo e masticabile conduce ad un finale sapido e ammandorlato.
C‘era pure l’annata 2017 che, ponendo invece l’accento sulla frutta secca in croccante e la pasticceria, aumentava la complessità gusto olfattiva di un vino che merita davvero.
“LA TORRE” 2019 è il primo dei due Montepulciano.
Visciole e more prima, quel giusto di sottobosco e spezie ed una piacevole balsamicità a collegare il tutto.
Un sorso fresco e pimpante, ben coordinato con il naso e l’unica pecca, se posso permettermi, di non avere quella nota verde che, personalmente, cerco nel Montepulciano.
Il secondo Montepulciano si chiama “MASCALICO” ed è del 2015.
Qui è la nota balsamica a condurre il gioco e la frutta rossa e nera si alterna ai mazzi di viole.
Ampia la speziatura e ben distinte le note di caffè tostato e tabacco.
Caldo, di maschile potenza e femminile eleganza, tannini materici e setosi ed inaspettata freschezza.
Lungo il finale dal piacevole chinato amaricante.