
Di VALCHIARÒ ho già scritto qui (andateVi a cercare gli articoli o, meglio ancora, assaggiate le loro poesie) e se doveste aspettarVi un articolo su quel Tocai “NEXUS” che miete premi a destra ed a manca beh…Vi stareste sbagliando.
La storia del loro successo racconta di come le amicizie segnino le vite.
Di come passioni comuni diventino mestieri da sommare ad altri mestieri perché l’aggravio di fatica sia un cilicio che porti alla redenzione.
Dei 6 “amigos” conosco bene solo Lauro (gli altri sono un impegno messo in agenda), il suo sguardo e le sue mani.
Ogni volta che vado in Friuli faccio progetti, interseco ordinati percorsi su carta che poi la realtà trasforma in scarabocchi, dire, fare, baciare, lettera, testamento…
Ma da Cividale almeno una volta ci passo, per la Gubana e gli Strucchi di Cattarossi, e per stringere quelle mani e guardare quegli occhi.
Sono spesso incontri brevi, fatti di: “Alore, cemût sino”? (1)
Ma c’è sempre il momento in cui scatta un: “No tu bevis un tai”?! (2) seguito dal traditore: “Ce utu cercjà”? (3)
A quel punto, negli occhi compare un lampo come nei migliori cartoni animati giapponesi e…si libera il grande tavolo, si tirano indietro le sedie ed il tempo assume un’altra dimensione.
Alla larga descrittori gusto-olfattivi, punteggi, grappoli, viti, corone…
Parlare di vino parlando degli uomini questo è il segreto per capire la terra ed i suoi frutti.
Però qui, qualcosa su ‘sto REFOSCO bisogna che ve la dica, altrimenti perdo per strada pure quei pochi che leggono i miei deliri.
Ed allora Vi dico che è intimista ma con distinguo.
Il naso ha il giusto di spezia (pepe e chiodi di garofano), il frutto pieno e croccante (visciole, more e prugne selvatiche), le freschezze balsamiche di alloro e liquirizia, i terziari dolci (ma non sdolcinati) del baccello di vaniglia, del tabacco e del cioccolato fondente.
In bocca è anglosassone ed i suoi tanti spigoli si fondono in un abbraccio rotondo.
Tannicamente grippante ma affatto fastidioso e ben sapido vi conduce per mano ad un finale lungolungo nella sua amaricante sinfonia.
Un Refosco che dribbla schemi precostituiti, che non puoi fermarti al primo sorso, che vuole la seconda bottiglia.
Un vino per chi il Refosco non lo conosce e forse più per quelli che credono di conoscerlo.
Un vino che non vuole il vuoto delle parole, ma silenzi riempiti di sguardi e sorrisi.
Un vino che è l’abbraccio di una terra che parla con i fatti.
Un vino di contadina sincerità, un vino di compagnia, un amico, una pacca sulla spalla dopo una giornata pesante.
Non il “mio” Refosco, ma che Refosco!
Da bere ascoltando “BRING ME TO LIFE” degli EVANESCENCE.
p.s. Siccome sono buono Vi traduco quelle frasi in ladino che dovreste aver capito comunque:
- “Allora, come stai”?!
- “Non bevi un bicchiere”?
- “Cosa vuoi assaggiare”?