IL COSA E IL DOVE
In un freddo e piovoso Giovedì d’Inverno il MUSEO DEL VINO di Monte Porzio Catone ha ospitato un Evento assolutamente unico: una verticale, condotta da Jacopo Manni, di “TURDACONE” (LAZIO IGT ROSSO), vino quantomeno “naif” prodotto da Renato Boni (TENUTA PALLOTTA).
Cabernet Franc e Tintilia, due vitigni che nulla hanno a che fare con il Territorio ma scelti da Renato proprio per questo.
Piantati “di nascosto” da un vignaiolo che fa vino per il piacere di berlo, raccontano, proprio per la loro estraneità al Vulcano Laziale, forse meglio di qualsiasi altro non solo il Territorio ma, anche e soprattutto, l’elemento fondamentale di quello che i cugini francesi (e anche noi che ci atteggiamo a enofighetti) chiamano Terroir: l’UOMO (scritto tutto maiuscolo).
Prima annata la 2015, un CRU e 3000 bottiglie, questi i numeri di un vino irriverente già dal nome di fantasia (indagatene il significato).
“TURDACONE” è figlio unico di un “dove” unico, di una delle poliedricità di quel Vulcano Laziale mai uguale a sè stesso e che Vi invito a scoprire sulla Vostra pelle (non solo nei vini che sa regalarci), magari sudando l’anima mentre scorrazzate in bici su e giù per i suoi versanti.
“TURDACONE” è figlio di un Vignaiolo che sta agli schemi forse meno di quanto io stia alla danza classica.
“TURDACONE” è il grido di un’enologia dimenticata, un bicchiere di protesta.
GLI ASSAGGI
Fuori schema fino alla fine, Renato trasforma anche la “verticale” in una “diagonale” che parla forse più di “umori” e stati d’animo che non dell’evoluzione di un vino.
Una “diagonale” che lascia per ultima un’annata 2015 che, a detta sua e di Jacopo, ha rischiato fino all’ultimo di non finire nel bicchiere e che invece…leggete!
– 2017: da un’annata con piogge zero mi approccio al bicchiere aspettandomi tanta concentrazione e poca freschezza.
E appena ficcate il naso dentro il bibente ecco il vulcano!
Cinerino, minerale, nasconde il frutto dietro il camino regalando sensazioni materiche, quasi polverose.
È come se, camminando in soffitta soffiaste su un vecchio libro scoprendo inattese balsamicità e freschezze di lavanda.
Il sorso conferma l’olfatto ma sembra voler concentrare tutti gli zuccheri appena entrato in bocca.
È frutto profondo, in confettura, che prova a stemperare con le morbidezze l’incedere di una Tintilia che accosta sangue e ferro al peperone verde del Cabernet.
Poi è un crescendo minerale che stende un velo sulla frutta e lascia che l’attenzione si posi su una sapidità che stimola la beva fino alla chiusura che lascia che la dolcezza del frutto faccia di nuovo capolino.
È un vino duro, di poche parole…ermetico…dal fascino misterioso.
(88- Punti)
– 2018: unica annata ad aver passato qualche tempo dentro due botti molto vecchie, lascia che al naso la vaniglia alzi comunque un po’ troppo la voce.
Dolcezze che poi non si ritrovano in un assaggio più fresco, meno carico di frutta, elegante (ma con le sneakers) e comunque di grande beva.
Solo 1200 bottiglie e 84+ Punti.
– 2020: un olfatto fresco e pietroso che qua e là lascia intravedere polvere e ricordi.
Assaggio saporito che evidenzia acidità elevatissime di quasi Barbera, più vegetale e meno ematico.
Un vino che sa di consapevolezza, un pugno in faccia al sistema e alle logiche.
(88+/89- Punti).
– 2016: accostando il bicchiere al naso sentite puzza di temporale!
L’aria sfrigola e l’atmosfera è pirica, le vegetalità alzano la testa e si fa strada un profondo solco mentolato, empireumatico direi, che s’accosta al tabacco e a un’idea di sagrestia cui, in chiusura, s’aggiunge un ché di marino e di smalto.
In bocca dilagano freschezza e amaritudini, i tannini mettono la testa a posto e caffè e cacao 90% fanno schioccare la lingua.
Forse troppo chinata la chiusura ma…che vino!
(91/92 Punti).
– 2015: prima annata, quasi una “prova d’autore” e…
Già alla prima olfazione capite di trovarVi di fronte a un vino assurdo!
Schietto, non ci tiene a nascondere il proprio legame con la terra e con la fatica.
Quella nota rustica e di quasi pollaio è maledettamente aderente al vino in quanto “frutto della vite e del lavoro dell’uomo”.
Nessuna smanceria, nessun imbellettamento, il frutto rosso è quello della visciola (ché l’amarena è roba da fighetti e qui nessuno lo è), il resto è vulcanica mineralità, pietre bagnate e graffi amaricanti di foglia di peperone.
Un sabba di descrittori che si rinnovano ogniqualvolta ficcate il naso nel bicchiere.
Il sorso è voglia e conseguenza, quasi rivolta.
Quello che avevate percepito al naso ve lo urla in faccia, non chiede attenzione, se la prende!
Un vino punk (sicuramente tra i trenta migliori assaggi del 2024).
Da bere ascoltando THIS IS NOT A LOVE SONG dei PUBLIC IMAGE LIMITED (P.I.L.).
(94 Punti con un bel +).
E QUINDI?
E quindi mi toccherà disturbare Renato, andare a rompergli le scatole in cantina, magari per riassaggiare quel “PRIGIONIERO” (FRASCATI SUPERIORE DOCG) che meriterebbe gli dedicassi un altro articolo oppure…per mettere in cantina qualche bottiglia di un vino sorprendente almeno quanto il suo Produttore.