Vabbè, di Giuliano (Pettinella) saprete già tutto (ne ho scritto persino io)!
Comunque, facciamo un ripassino insieme?
Marchigiano (ma abruzzese), avvocato (ma vignaiolo), modesto artigiano (ma ormai ben consapevole delle proprie capacità).
“Pendola” tra Macerata, Silvi Marina e Tocco da Casauria inseguendo non un vino (due in realtà) ma l’idea dello stesso.
Assurto alle cronache nel 2010 con le prime bottiglie di un Cerasuolo d’Abruzzo che poi si chiamerà “TAUMA” in onore delle due figlie gemelle e delle due vigne (gemelle anch’esse) dalle quali provengono le uve con cui lo produce, non ha mai deviato dal proprio percorso, lavorando di cesello su un’opera nata già capolavoro, sgrossando, arrotondando, dando enfasi all’arte della sottrazione anziché al barocco enoico.
Ecco dunque che mi ritrovo con Giorgio (D’Orazio) a Tocco da Casauria in quella casa che diede i natali al Nonno di un Giuliano che, con lo stesso impegno che mette nelle sue produzioni, la sta ora trasformando in quella che si appresta ad essere la sua nuova cantina.
Sono locali in cui si respira memoria e si assapora il futuro, un mix elegante che convoglia le emozioni nel presente di un bicchiere.
E proprio il bicchiere è, per una volta, già di per sé un’emozione.
Un bicchiere che riconosco subito pur non avendolo mai preso in mano prima d’ora, un contenitore di Emozioni privo di materia.
“ZALTO”, non “un” bicchiere ma “IL” bicchiere!
L’antimateria di quegli “scovapuzze” a norme ISO che Giuliano usa in cantina, un’arma assoluta capace di lasciare chi beve inerme di fronte al solo “peso” del vino (Iñárritu ci potrebbe girare un seguito del suo film).
Un peso che può opprimere coloro che si avvicinino all’assaggio senza aver purificato il proprio animo da sovrastrutture o preconcetti oppure un peso che può essere il giusto prezzo da pagare per arrivare all’illuminazione.
In ogni caso, di seguito troverete un sacco di parole inutili a descrivere tre vini “vivi”, mai domi, che incedono a testa alta e che sono continua scoperta.
Cercateli, assaggiateli, sfogliateli, illuminatevene!
– CERASUOLO D’ABRUZZO DOC “TAUMA” 2022: di questo 2022 avevo già scritto qui e, a distanza di qualche mese, confermo e correggo quanto già asserito.
Il vetro s’è rivelato lampada magica esaudendo il desiderio che il brutto anatroccolo si trasformasse in cigno.
Decisamente troppo freddo anche per una torrida giornata d’Agosto come questa, stenta un pochino a carburare nascondendo dietro inutili pudicizie olfattive quell’anima di concreta, rustica eleganza.
È la mano sporca di terra che si pulisce sulla gamba del pantalone prima di tendersi a cercare di stringere la vostra, quella mano che diventa invito ad accomodarsi sotto un albero di visciole (qui siamo in campagna e l’amarena, quella dei topping cui siamo abituati, non è di casa).
Con sottile gentilezza, il tannino accompagna l’aspra croccantezza della melagrana, quasi una risata che scioglie i cuori e lascia che il contadino, prima nascostosi, ricompaia privo ormai di vergogna alcuna.
Il sorso arriva per necessità, compulsivo, necessario.
Ed è una conferma, la firma in calce a un olfatto che era promessa e ora è certezza.
Forse la batteria batte un ritmo appena fuori tempo evidenziando l’incongruo di sottili tostature ma…
Siamo davvero sicuri che un vino debba essere didascalico?
Grande vino, GRANDE DAVVERO (peccato che sia veramente l’ultima bottiglia, sottratta per di più a chi avrebbe dovuto venderla)!
Da bere ascoltando BACK TO BLACK (LIVE) di AMY WINEHOSE.
(91 Punti, ma potrei essere di parte).
– MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC 2022: china appena il capo sotto la spinta di un alcol che s’allea a un clima che avrebbe sorpreso anche Annibale all’epoca del suo soggiorno peligno ma ritrova presto la dignità che gli compete.
S’appresta al naso sul filo di un tavolato di soffitta e vecchi ricordi, scandendo i toni di un legno perfettamente integrato nel racconto del calice e suggerendo forse il peso dell’anima dei vinaccioli.
Ed è in un sottobosco non dimentico di verdi cortecce e funghi che s’apre poi la radura del frutto croccante, delle bacche scure e delle spezie.
In bocca è arrembante e godereccio.
I piccoli sorsi non gli si confanno.
Ne vuole di lunghi, ripetuti, da spegnere la sete.
Ritrova poi la calma quando la ciliegia diventa quella sotto spirito della nonna e, di nuovo, l’assenza di orpelli e sovrastrutture rende l’assaggio un unicum con le emozioni.
Il fondo del calice rivela poi un futuro di incenso legandolo a un presente di vegetale tradizione.
Da bere ascoltando N.I.B. dei BLACK SABBATH.
(89 Punti, per ora).
– MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC TERRE DI CASAURIA 2023 (no label): prova di botte che dimostra come “prova” sia soltanto una parola e che spetta a noi riempirla di significato.
E se lasciamo che il significato ce lo metta Giuliano allora dobbiamo scomodare termini importanti come “casa”, “radici”, Territorio”.
Saranno 600 bottiglie frutto di quanto sopravvissuto alla peronospora, il meglio, quello che la natura, nella sua spietatezza, ha deciso di salvare.
E questo “meglio” colpisce il naso con il dinamismo di un Hagler dei tempi migliori e Vi mette subito al tappeto.
Singolarmente più affine al “TAUMA” che al Montepulciano precedente, rivela una differenza macroscopica con questo.
Un libro con molte più pagine da sfogliare scritto con la penna meticolosa di un esistenzialista russo.
Una continua scoperta.
Il naso è grasso, materico ma affatto pesante.
Danza agile sui piedi vegetali della Tradizione per menare colpi a suon di tostature che accostano l’amaretto al caffè.
Accosta complessità di cioccolato e boero a balsamicità rustiche quanto serve e ci trascina inesorabile nel gorgo della voglia di un sorso lungo e dissetante.
In bocca, la massa olfattiva sembra svanire in una danza leggiadra tenuta viva dal tannino stuzzicante e da tocchi speziati che allargano a Oriente il panorama.
Un vino che va “oltre” i confini del già scritto.
Un vino che sa di futuro e che, in quanto tale, non ha bisogno di punteggi.
Da bere ascoltando CREEP dei RADIOHEAD (ma interpretata, live e unplugged, dai PRETENDERS).