
DUE PAROLE SUL ROERO
Certo che è facile dire Nebbiolo parlando di Piemonte.
Ed è pure banale dire Barolo.
Gli enofighetti diranno Barbaresco per far finta di non essere omologati ma…
…Chi dirà Roero?
Oggi l’unica acqua sopravvissuta nell’antico Golfo Padano è quel Tanaro che, sinuoso Mosè, separa, le marne dalle sabbie del mare che era.
A destra le prime, a sinistra le seconde, tra le due appena qualche milione di anni.
Qualche malalingua potrebbe fare riferimento a sacre scritture che separavano “il grano dalla pula” ma sarebbe davvero in torto.
Qui destra e sinistra sono due mondi separati.
È come in politica, conservatori vs. progressisti, due anime diverse ciascuna con le proprie ragioni.
Certo stiamo parlando di vini e non di idee (oddio, forse le due cose non sono poi così distanti).
Austeri, sabaudi quelli a destra, sanculotti quelli a sinistra.
Da ambo le parti c’è stato chi ha cercato una “terza via” che traghettasse la tradizione nel terzo millennio o che piuttosto nobilitasse animi ribelli con risultati…beh…
Comunque, qui ed oggi, parliamo del Nebbiolo prodotto dai magri suoli delle colline roerine, ripide e semi aride.
Quello che su questa sponda del Tanaro diventa un vino che dice quasi di urgenza di beva, di scorrevolezza, di freschezza, di muscoli definiti e non pompati, di bottiglie fatte per essere finite (senza nulla togliere al fatto che alcune possano durare una decina d’anni).
L’AZIENDA
E parliamo dell’Azienda Mario Costa, che coccola i suoi 20ha di Territorio da quattro generazioni.
Siamo a Canale, nella parte N dell’areale roerino.
Solo vitigni autoctoni (con una piccola concessione al Viognier) ed una viticoltura attenta e rispettosa, per rispetto del passato e per la salvaguardia del futuro.
Uno dei Roero di oggi viene da un vigneto che si chiama MORINALDO e sta a Montà d’Alba, ripido che a vederlo (io, per ora, solo in foto) diresti che sotto ci sia la Mosella, sabbioso come una spiaggia della Romagna.
GLI ASSAGGI
Due annate: la 2017 al “secondo assaggio” e la 2018 a confronto.
ROERO DOCG “MORINALDO” RISERVA 2017: Tempo fa, di questa 2017 avevo scritto: “Stupisce la freschezza vegetale comunicata da un vino prodotto in una annata calda.
È un complesso bouquet di fiori ed erbe di campo (anche amare) a precedere un frutto nero (ciliegie e mirtilli) che invece appare dolce e croccante.
L’assaggio punta sulla freschezza ma concede comunque spazio a quel frutto che ne stempera la tagliente verticalità.
Mi viene da dire: poco “riserva” e poco “sabaudo” (sarà forse anche per quel rovere austriaco).
Questo dovrei ri-assaggiarlo con calma.”
A distanza di qualche tempo e con l’attenzione dovuta ribadisco un impatto iniziale erbaceo ed amaricante che mi rimanda quasi a quel Vermouth di Torino che tanto amo.
Ed il corredo olfattivo che segue continua a percorrere un sentiero di freschezza che vorrebbe azzerati i tempi per l’assaggio.
Racconta asprezze di arancia sanguinella e melagrana prima ancora di imboccare il bivio delle note più dolci di fragolina, ciliegia croccante e forsanche anguria.
Chiudono il corteo una viola arrivata in ritardo, un accenno di corteccia ed il giusto di spezie dolci.
Sorso intrigante ma di polso, deciso, di larghe spalle fresco-sapide, che procede dritto verso un finale ferroso e minerale.
Mentre continuo a pensarlo “poco riserva”, quel “poco sabaudo” mi sembra complimento azzeccato pensando ai sanculotti di cui avevo parlato nell’introduzione.
Rivoluzioniamo l’eleganza del nebbiolo: via il frac e la tuba, largo a jeans, sneakers e…bombetta!
ROERO DOCG RISERVA 2018: questa 2018 racconta panorami differenti ed una annata segnata da un inverno freddo e piovoso che si rivelerà “comodo” per gestire l’estate calda e siccitosa.
Questo si traduce in un naso ancora introverso che suggerisce di abbandonare le corse nei prati per concentrarsi su dolcezze di lampone maturo prima che sull’acidità del mirtillo.
Alle viole s’accostano le rose in un bouquet elegante ed essiccato.
La componente balsamico-aromatica racconta di tè nero e tabacco e di salvia e timo affatto celati.
Corteccia e spezie chiudono il sipario.
Assaggio teso, intenso, materico, concreto e già definito ad evidenziare la sapienza agronomica del vignaiolo.
Sull’ampio palcoscenico gustativo i rimandi olfattivi sono disposti ordinatamente ed interpretano ciascuno la propria parte regalando una dinamica di beva ritmata da adeguato grip tannico e rimandi balsamici.
Ecco, questo lo “riserverei” per qualche altro anno aspettando che il vetro faccia il proprio lavoro, se non fosse che ormai l’ho aperto e…mi toccherà finirlo.
CONCLUDENDO
Posso ben dire di aver avuto il privilegio di assaggiare due bottiglie davvero rappresentative non solo di un Territorio, ma anche dello “stile” unico ed attualissimo dei vini roerini.
Nessun tentativo, qui, di scimmiottare i cugini della “rive droite”, contemporanei, agili, espressivi a prescindere da un potenziale evolutivo (ben evidenziato dalla 2018) che il bere dei giorni nostri spesso non richiede.
In enoteca ad un prezzo superiore a quello delle bottiglie che in genere Vi consiglio ma…semel in anno…