L’alimento italiano per eccellenza?
Sicuramente la pasta secca di semola di grano duro.
Anche fuori dal nostro Paese, questa è sempre più apprezzata per tutta una serie di motivi tra cui: lunga conservabilità, prezzo contenuto, facilità d’uso, adattabilità alle più disparate abitudini alimentari e, last but not least, le sue caratteristiche strutturali e nutrizionali.
Il suo elevato grado di compattezza strutturale, infatti, ne influenza non solo la cinetica di assorbimento dell’acqua ed il comportamento in cottura, ma si rende al contempo responsabile della lenta digeribilità dell’amido in essa contenuto, giustificando il basso indice glicemico (<60) del prodotto cotto.
Fondamentale importanza nella produzione di una buona pasta, riveste la scelta della materia prima.
Quantità e qualità delle proteine sono, infatti sono parametri universalmente ritenuti determinanti nell’assicurare la buona tenuta in cottura: un nerbo elevato ed una bassa collosità sono relazionabili alla presenza di un reticolo proteico fitto, compatto e regolare, capace di trattenere al proprio interno le particelle di amido durante il loro rigonfiamento e la loro gelatinizzazione.
In cottura, il risultato della competizione tra amido e proteine è però fortemente influenzato anche dalle condizioni utilizzate durante il processo di pastificazione, soprattutto da quelle del ciclo di essiccazione che riveste in questo un ruolo strategico.
Nonostante il comportamento in cottura sia considerato il più importante indice di qualità della pasta, il consumatore basa le proprie scelte tenendo sempre più in considerazione non solo le caratteristiche sensoriali (che è in grado di valutare personalmente al momento del consumo) ma anche una serie di altri parametri che, pur non potendo controllare direttamente, possono incidere sulla qualità complessiva dell’alimento.
Un atteggiamento ben conosciuto dai produttori che, in etichetta, alle informazioni nutrizionali che, per legge, consentono di quantificare i valori di proteine, carboidrati, grassi ed elementi minerali presenti, hanno imparato ad accostare aggettivi che sottolineano le condizioni sotto le quali avviene il processo di essiccazione, spingendo a valutare come positivi i termini di “essiccazione lenta” e/o “a bassa temperatura.
Tuttavia, tali diciture non sono sufficienti a fornire indicazioni chiare ed univoche riguardo ai fenomeni indotti dai diagrammi di essiccazione cosiddetti “ad alta temperatura” e ancor meno alla natura ed all’entità del “danno termico” ad essi associato.
Diversi studi hanno consentito di verificare la relazione esistente tra le caratteristiche della semola, le proprietà della pasta prodotta, il processo di pastificazione ed il danno termico.
È dagli inizi degli anni ’70 che nei pastifici (indipendentemente dalla loro dimensione), l’utilizzo di cicli cosiddetti “ad alta temperatura (HT – temperature massime superiori a 70°C) è andato sempre più diffondendosi, “mascherando” dietro il miglioramento del comportamento in cottura del prodotto (temperature superiori ai 70°C aiutano non poco la coagulazione delle proteine del glutine) l’intenzione prima di aumentare la produttività.
Solo molto più tardi si iniziò a quantificare gli effetti negativi correlati ai diagrammi HT.
Si tratta di una serie di modificazioni del sistema pasta che, raggruppate sotto il termine “danno termico” sono collegabili principalmente alla reazione di Maillard.
Il marker più importante nella prima fase della reazione di Maillard è lo sviluppo di Furosina.
Sebbene non sia ancora presente un apprezzabile imbrunimento del prodotto, già a questo stadio, a causa della irreversibile reazione tra zuccheri riducenti ed alcuni gruppi amminici della Lisina, alla diminuzione della sua biodisponibilità, corrisponde un proporzionale aumento di Furosina.
Va comunque detto che grande attenzione deve essere posta anche alla scelta delle materie prime.
Diagrammi di essiccazione a bassa temperatura, associabili, oltre che ad un limitato danno termico anche a fenomeni di coagulazione proteica di entità trascurabile, garantiranno infatti al prodotto finito un buon comportamento in cottura solo se la semola di partenza presenta proteine in grado di formare un reticolo compatto ed indeformabile a temperature inferiori a quelle di gelatinizzazione dell’amido.
Studi alla mano, il danno termico subito dalla pasta secca si estende su un intervallo molto ampio che fa ipotizzare una grande variabilità delle condizioni di temperatura e di tempo di essiccazione del prodotto, non necessariamente correlati alle dimensioni ed alle capacità produttive dell’Azienda.
Vale a dire che, il danno termico indotto dal processo di essiccazione, non va associato solo alla temperatura usata ma è il risultato di questa associata al tempo del trattamento termico.
Tuttavia, gli stessi studi evidenziano il ruolo chiave giocato da alcune caratteristiche fisiche compositive delle semole nel contenere o favorire il danno termico subito dal corrispondente prodotto secco.
Ad esempio, a semole in cui la percentuale di particelle di grossa granulometria è elevata, corrisponde un basso tenore di amido danneggiato, così come a semole con elevata percentuale di frazioni fini, derivanti quindi da processi di macinazione che le abbiano sottoposte ad importanti stress fisici, la percentuale di amido danneggiato risulterà essere notevolmente superiore.
Detto questo, basare la scelta della materia prima sulle proprietà della componente proteica (quantità e qualità delle proteine) è fondamentale per garantire un buon comportamento in cottura ma non è sufficiente a limitare l’intensità della reazione di Maillard durante l’essiccazione, fenomeno che non va assolutamente considerato come secondario in un prodotto di qualità.