Il COSA E IL DOVE
Quella dell’Alto Piemonte e di un Monferrato che non ha paura di definirsi “Grande” è la storia di denominazioni e territori molto piccoli che raccolgono una sfida e decidono di trovare il modo per mettere insieme turismo ed enogastronomia.
Una sfida che, facendo leva sulle eccellenze della buona tavola mira a destagionalizzare i flussi turistici e valorizzare i borghi in una Regione in cui oltre l’80% dei Comuni non supera i 5000 abitanti.
Un Territorio in cui vedono la luce le produzioni molto limitate di ben 23 DOC (sulle 41 piemontesi e le 332 nazionali) e 14 DOCG (sulle 19 piemontesi e le 73 nazionali).
E siccome dalle piccole cose nascono grandi capolavori, Alto Piemonte Gran Monferrato diventa Città d’Europa del Vino 2024.
Venti Comuni, venti identità differenti in rappresentanza, ciascuno per il suo, di un unicum territoriale piemontesemente identitario.
È toccato al Gambero Rosso ospitare la presentazione romana di questo progetto nel quale, il Piemonte al centro, si respirano brezze provenienti dalla vicina Liguria, dall’Emilia, dalla Lombardia.
Il vino è il totem attorno al quale danzano capolavori: grandi formaggi, grandi salumi, il riso, presidi slow food…
Una serata preceduta da una accorata conferenza stampa vissuta sull’entusiasmo delle amministrazioni comunali, dei consorzi e degli Enti di promozione del turismo.
Ora, mentre Vi invito ad approfittare di questa occasione per aprire questo scrigno prezioso nel quale sono racchiuse gemme di Storia, Cultura, Accoglienza e Turismo lento, Vi lascio a qualcuna delle mie solite descrizioni relative ad alcuni dei vini proposti in degustazione al fianco della cena curata dallo chef Marco Brioschi.
LA MIA “TOP SIX”
Molte le etichette in assaggio e tutte di livello molto alto, a dimostrazione che il Piemonte nel bicchiere è una garanzia.
Tra le tante ne ho scelte sei (senza badare a nomi e prezzi) da proporVi per un assaggio non scontato e in alcuni casi “WOW”.
Non Vi dirò delle Aziende perché voglio lasciare qualcosa da fare anche a Voi.
Buona degustazione!
1- OVADA DOCG “FILARE”, ENOTECA REGIONALE DI OVADA E DEL MONFERRATO: “FILARE”, rettilineo di viti o spostamento d’aria quando il “gruppone” sfreccia veloce e s’accavalla nella preparazione della volata.
Ma questo Dolcetto, più che in volata, stacca di ruota gli avversari sui saliscendi da cui prende nome.
Un “mangia e bevi” continuo di frutti corsari, spezie saladine e sapidità sabbiose portate dal vento.
Un incedere affatto semplice, mai scontato, tra scatti e controscatti di ciliegie, more, mandorle e quella vinosità mai dimentica che segue il trenino del vegetale.
Sorso birbante privo di ogni soggezione nei confronti dei vitigni dal “gran nome”, sfrontatamente coerente e godurioso.
Bicchiere sfaccettato, grissini, salame, amici e chiacchiere.
Vince il mio premio “LEVATEMELO”.
Da bere ascoltando “PEDALA” di FRANKIE HI-NRG MC.
2- COLLINE NOVARESI DOC VESPOLINA “AUDACE”, FILADORA: un olfatto che getta un ponte immaginario tra Piemonte e Friuli sorretto sui piloni di peposità da Rotundone.
Ed è dunque la freschezza oscura del pepe quella che fa dire “UAU” e distoglie l’attenzione da lamponi e ciliegie.
Ma non fateVi distrarre, rimanete concentrati!
Ecco allora che s’avanzano scarpe inzaccherate di terra umida e lavagne di grafite bagnata.
Il pot pourri di fiori secchi è lì, sulla tavola e confonde il suo profumo con pensieri di tabacco.
Il sorso è snello, preciso come un fioretto, succoso e traditore, di complessa semplicità, dinamico, avvolgente, autorevolmente sapido e di materica tannicità.
Arditamente vino.
Da bere ascoltando “THE WASP (TEXAS RADIO AND THE BIG BEAT) dei DOORS.
3- SIZZANO DOC ROSSO “ROANO” RISERVA 2015, VIGNETI VALLE RONCATI: austero con brio, vorrebbe darsi un tono, stare sulle sue ma…non ce la fa e rivela tutta la sua energia compressa.
Ecco allora una ridda di spezie accavallarsi a boschiva sostanza, corteccia, muschio, financo qualche troco spaccato dal fulmine e ancora fumante.
La sorpresa è nelle olive in salamoia, quelle che con gli amici si fa a gara a chi sputa il nocciolo più lontano, quelle che non bastano mai e che qui scazzottano con una scia di miele e quell’agrume che rinfresca anche più dell’eucalipto.
Il sorso e una scarica di salinità marina (altro che mineralità da super vulcano!) e i tannini sono ragazzacci discoli ancora poco inclini allo star calmi nonostante gli otto anni di braccia conserte (o forse proprio per questo, perché bisognosi di sgranchirsi le gambe).
Alcol e freschezza viaggiano in prima classe e la chiusura è un compendio delle freschezze olfattive che sottolinea la sapidità a suon di piccantezze.
4- FARA DOC 2017, IL CHIOSSO: s’approccia silenzioso con l’incensiere e lascia intravedere una sagrestia di legni sacri prima di ringalluzzirsi.
Fuori, sul sagrato piove e la terra bagnata si mescola all’aria che sa del ferro delle saette.
M’avanzano sensazioni ortolane, di tabacco da borsa e forse castagna (ma questa potrebbe essermi rimasta in memoria dalla settimana scorsa)…mettetele Voi dove preferite.
Più pacato il sorso, fresco e sapido quanto deve, ordinato nello sciorinare spezie anche dolci, diretto, firmato dall’iniezione di Vespolina a suon di sottili peposità.
Forse un pochino brusco nel chiudere l’assaggio ma comunque molto interessante.
5- GATTINARA DOCG 2020, MAURO FRANCHINO: l’ingresso al naso è complesso e devastante!
Frutti di bosco, visciole (in confettura), rose (spine comprese), dolcezze di spezie e tabacco che fanno a spallate con china e rugginosa ferrosità ma…
Nessuna boria, nessuna ostentazione.
Tutto è gestito con rustica, contadina eleganza, non per vergogna ma come se il calice volesse comunicarVi emozioni seguendo la tradizione orale.
Ed allora il camino non può mancare e quella brace che prima era fiamma spande nell’aria la comunanza del fumo appena acre.
Sorso caldo e alcol estremamente corretto nel gestire la volata finale tra freschezza e sapidità, vinta da quest’ultima nonostante lo sgambetto dei tannini integrati ma ancora molto sportivi.
Emozionante!
Da bere ascoltando “TOWER SONG” di LEONARD COHEN.
6- BRAMATERRA DOC 2016, CERUTI: olfatto di eloquente freschezza, giocato su frutti neri ancora ben al di qua della maturazione e sulla freschezza dissetosa e amaricante di un “chinottissimo” Neri.
Scugnizza, la componente vegetale racconta ombre boschive, prati falciati di fresco e cespugli di timo serpillo.
Appena una gentilezza di viole non poteva mancare, ma forse l’ho voluta cercare per forza.
Sorso che dà l’impressione di aver appena trovato la propria dimensione.
Un fiume che immagino essere stato rapida impetuosa due o tre anni fa e che oggi è compita scorrevolezza nonostante qualche masso sporga ancora lungo il corso dei tannini.
Considerando l’olfatto m’aspettavo qualcosa di più ma magari devo solo riassaggiarlo con più calma (o magari avevo solo bisogno di un volume maggiore nel calice).
Si becca il mio premio “PECCATO” ma l’ho già messo nella corposa lista dei vini da riassaggiare con calma.
E ORA?
Ora è il momento dei ringraziamenti, a Gambero Rosso per avermi ospitato, ai venti comuni che hanno avuto il coraggio di intraprendere insieme questo viaggio e a Voi che avete avuto la pazienza di leggere queste mie poche righe.