Sin dai tempi della Repubblica di Venezia il Terrano sta al Territorio come la Malvasia sta all’Oriente.
Se è vero che c’è chi lo vuole “triestino” vistane citata la presenza in quel di Duino sin dal 1444, il Terrano è un vino che non vuol sentir parlare di confini.
Era il vino “non navigato”, quello che non aveva attraversato i mari.
E mentre all’epoca era un termine che raggruppava vini diversi oggi è stato identificato come appartenente alla famiglia dei Refoschi.
Un Refosco dal Peduncolo Verde che fuori dall’areale PTP viene chiamato Refošk e che mi spinge a lanciare un anatema contro chi volesse scomodarsi ad accostarlo al Prošek per alimentare sterili polemiche prive di basi culturali e fondamenti storici.
Vino “di nicchia” nel ‘700, venduto anche come “medicina” nelle farmacie, ha uno “ieri” recente che racconta di quelle Osmize dove si è sempre consumato GGiovane.
Scontroso, di “brividosa” acidità, poco incline alle facili amicizie, è solo da una ventina d’anni che alcuni Produttori hanno deciso di seguire quanto in realtà consigliato dai bordolesi a fine ‘800, ammorbidirne il carattere con malolattica e legno (anche se Joško racconta di un certo Lozar che, in anni dimenticati e segnati da temperature più basse, faceva appassire parte delle uve per dare corpo a vini altrimenti troppo esili).
Il Terrano è un vino che va preso per mano e che ti prende per mano, non è immediato ma ti porta lontano con la sua freschezza che sa di mitteleuropa e di confini che l’uomo traccia e la natura cancella.
E allora ecco che il Carso diventa Kras, non è Italia o Slovenia o Trieste o Gorizia, è terra che gli uomini calpestano e coltivano, fatica di roncare, rocce inclini all’inciampo, doline e vento che sega la faccia.
Ed è il vino delle doline più che quello delle vette spazzate dalla bora, a volte rotondo come un 33 giri, a volte spigoloso come un pezzo suonato dal CD.
Ma due parole su Joško (Renčel) le vogliamo dire?!
Ma proprio solo due, perché altrimenti dovremmo scrivere un libro (e perché dovreste averne già letto qui)!
Inventore? Filosofo? Forse pazzo (ché 3ha, 8 vitigni, 10000 bottiglie e…tipo 22 etichette sono numeri da camicia di forza).
Bianchi, rossi, rosati, passiti (ahhh, quel Micarone!)…vini studiati e altri nati per “sbaglio”.
L’hanno definito l’Archimede del vino ma a me piace pensare all’uomo Joško nella sua forma più pura: vignaiolo.
La strada di mattoni gialli che porta da lui passa da Trieste e inanella una serie infinita di curve che raccontano di sbarre che furono e uomini contro.
Kremen, vigne e poi Dutovlje è là in fondo.
Al N° 24 c’è la sua cantina, dimessa e nascosta casa tra le case.
Disordine ordinato di botti storiche, vasche d’acciaio, un’anfora (sola e solitaria, quasi dimenticata là, nel suo cortile), botti piene d’aceto ed altre in cui stanno vicinivicini vini di una “cambogia” di annate
Tutte pronte al giudizio insindacabile dell’assaggio di un lui che ne deciderà il destino
Joško parla poco di suo (e l’italiano neppure bene) ma il vino accomuna, azzera distanze, traduce sguardi ed emozioni.
Se poi volete altre notizie cercatevele da soli ché qui devo dirVi di un vino e poi…mica posso sempre fare tutto io!
Dunque, “TERRANO“…
Inizialmente diffidente sembra voler essere specchio della gente del posto.
Ruvido, ventoso, sa di steppa bagnata e camino che asciugai le ossa.
Poi si lascia andare alle spezie e si dischiude al frutto, rosso e nero, carnoso, maturo.
In bocca entra senza fare sconti, diretto, spontaneo, morbido quanto deve, quel tanto che serve per risultare educato e cercare di pareggiare la rampante acidità.
La mora è netta, la ciliegia non vuole essere da meno e le spezie passate al mortaio fanno da legante rilanciando il sorso dopo aver preso per mano la timidezza di un animo erbaceo.
Un duro dal cuore tenero, un orso con l’incedere elegante di un Pinot Nero.
Da bere ascoltando “PLAY THAT FUNKY MUSIC” di WILD CHERRY ma nell’interpretazione live di PRINCE (magari con ben più di qualche fetta di Kraški Pršut).
Il costo?
Non lo ricordo, ma se l’ho comprato io potete farlo anche Voi.