IL COSA ED IL DOVE
Organizzata da LA PECORA NERA EDITORE e PASQUALE (PAKI) LIVIERI, UVA FIERA è una “fiera vinicola” dedicata ai vini ottenuti dalla vinificazione “in purezza” di vitigni che normalmente vanno a comporre dei blend.
Vitigni con un proprio, personalissimo carattere che normalmente fanno da “pacieri”, cercano di tappare oppure spronano cugini spesso considerati di lignaggio più elevato per far sì che il risultato finale appaghi il nostro edonismo enoico.
Comunque: il 2 e 3 Dicembre u.s. la Città dell’Altra Economia s’è riempita di una gran folla di appassionati, wine lovers ed addetti del settore.
È stato come di consueto un bel viaggio lungo lo stivale italico del vino, uno zigzagare tra vecchie conoscenze e nuove scoperte, una trentina di Aziende per una due giorni ricca di emozioni.
GLI ASSAGGI
Ovviamente non avrei mai potuto assaggiare tutto quello che c’era.
Se poi teniamo conto del fatto che il tempo a mia disposizione era davvero risicato a causa di altri impegni e che non era l’unico evento enoico cui dovevo partecipare quel giorno beh…il fatto di essere riuscito a mettere il segno di spunta accanto a quasi tutto quello che avevo programmato fa si che mi possa ritenere soddisfatto.
Davvero tanta la qualità incontrata (ed i pochi inevitabili scivoloni facevano parte del gioco) a dimostrazione che le “uve da taglio” hanno davvero tanto da raccontare.
Date dunque una letta alle mie personalissime note d’assaggio e correte ad assaggiare di persona.
IL VENETO
ZAMBON
Una storia che risale ai primi del ‘900 con un oggi datato 2006 (prime bottiglie 2011) a firma di Federico (Zambon), terza generazione di un’Azienda che ha eliminato completamente la chimica per accarezzare il Territorio esaltandolo attraverso i suoi prodotti.
SOAVE DOC “VULCANO” 2019: stavolta andavo dicorsadicorsa e da Federico sono riuscito a fermarmi solo il tempo di assaggiare la Garganega vendemmiata nel 2019!
Così, tanto per farmi sorprendere ancora una volta da questo produttore che ha deciso di accendere uno spot luminosissimo sul proprio vino “base”.
La curcuma!
Si, la curcuma è quella che prende possesso del naso, prendendo a spallate una sulfurea mineralità che poco può contro le braccia nerborute della prima se non allearsi con le mele mature, quasi quasi quelle che trovate sopra la torta della nonna.
E se il sorso è il premio cui ambivate beh, godetene ma con compita attenzione!
Perché qui si rischia di tracannare il bicchiere per subito riempirlo senza dar retta alla frutta secca che sussurra, all’agrume candito, alle inattese dolcezze.
Chiusura, manco a dirlo, sapida.
Da bere ascoltando ”DANCE ON A VOLCANO” dei GENESIS.
LA TOSCANA
GLI ARCHI
Un’Azienda giovane (7 anni) che coccola 10ha di Colline Pisane.
Solo cavalli e nessun mezzo meccanico tra i filari per una produzione attenta all’Ambiente ed alla Tradizione, interessante e…con tanta strada ancora da percorrere.
TOSCANA IGT VIOGNIER “LA MERLA” 2022: appena ridotto il naso che racconta dolcezze di frutta esotica, susine e fiori d’acacia mixandole con sottili amaritudini di salvia e scorza d’arancia.
Sorso fresco ed agile, chiude sui toni della frutta con una bella e lunga coda sapida che aggiunge spessore all’assaggio.
TOSCANA IGT CABERNET FRANC “AMELIA” 2019: al naso è una punta di alcol di troppo ad introdurre le note di erbe medicinali cui seguono fiori rossi appassiti e prugne.
Poi carcadè, cioccolato, un tocco di liquirizia e qualche sbuffo iodato.
Sorso caldo, non scorrevolissimo ma di piacevole, agrumata sapidità, sorretto dalla fitta trama tannica e con un finale segnato da note piacevolmente amaricanti di china e liquirizia.
Peccato per quel naso…
TOSCANA IGT SANGIOVESE “CHIARA” 2017: al naso, anche qui appena segnato dall’alcol, spiccano i frutti rossi maturi, quelli piccoli e le più grosse ciliegie, un accenno floreale ed un lungo corteo di spezie dolci (ci sta pure la cannella) a precedere una chiusura cioccolatosa che accenna al rabarbaro ed al tabacco.
Sorso avvolgente, caldo, tannini ben integrati ed un finale di buona lunghezza giocato su rimandi fruttati e sottili speziature.
Un pochino troppo “piacione” per i miei gusti.
VERMOUTH “GIAMMINO”: bella chiusura con questo Vermouth in cui 15 piante aromatiche vengono aggiunte alla base Sangiovese per riportarmi indietro negli anni…
Qui naso e bocca si alternano continuamente sfogliando tutti i descrittori aromatici che, “ordinati e coperti” come tanti soldatini, sfilano in parata.
Dolcezze ed amaritudini che Vi invito a scoprire di persona in apertura e chiusura di pasto.
Bello.
LE MARCHE
CRESPAIA
Azienda familiare che, in quel di Fano, ha deciso di credere nel Bianchello del Metauro.
Una storia iniziata nel 2011 che procede a vele spiegate verso il futuro mixando Tradizione ed innovazione.
Una produzione molto attenta, che le diverse di “CHIARALUCE” in degustazione hanno vieppiù evidenziato.
BIANCHELLO DEL METAURO DOC 2022: davvero fresco ed invitante il naso, un prato verde da cui spuntano luminosi fiorellini, la pesca non è ancora matura ed una sabbiosa mineralità sembra avvolgere tutto.
Sorso di inconsueta leggiadria e freschezza anche superiore a quanto percepito all’olfatto.
Citrino, salato, secchissimo e con un grado alcolico raro da trovare (anche tenendo conto delle temperature in costante rialzo).
BIANCHELLO DEL METAURO DOC SUPERIORE “CHIARALUCE” 2022: qui niente lieviti selezionati ma un pied de cuve prodotto con il 10% delle uve selezionate in vigna.
Prendete il vino precedente, fate un minimo di tara sulle vegetalità, elevate al quadrato la frutta e mantenete invariata la mineralità.
Ed in bocca i conti tornano quasi tutti, fatta salva una freschezza decisamente superiore al fratello minore ed un equilibrio che chiede ancora un po’ di vetro per essere stabile.
BIANCHELLO DEL METAURO DOC SUPERIORE “CHIARALUCE” 2020: due anni in più ed una pesca perfettamente matura, sbucciata appena colta, è ciò che Vi riempie il naso.
Poi provate a metterla da parte ed allora ecco farsi strada i precursori di quello che sarà tra uno o due anni, le erbe aromatiche che alzano un po’ la voce ed una sabbia che pianpiano diventa pietra focaia.
Il sorso è forse appena meno verticale ma la mineralità c’ho il piede pesante e crea un bellissimo contrasto con i rimandi di fruttata dolcezza.
BIANCHELLO DEL METAURO DOC SUPERIORE “CHIARALUCE” 2019: qui il quadro olfattivo svolta bruscamente verso i toni balsamici della menta (soprattutto) e dell’eucalipto che offuscano quelli della frutta e precedono il corteo delle erbe aromatiche amare chiuso poi dalla fanfara degli idrocarburi.
Sorso fresco e di sapidità quasi piccante, lungooooo e con una chiusura che racconta frutta gialla senza dimenticare il profondo animo minerale.
Un vino gastronomico (ma “stellato”), alla faccia di quelli che: “il Bianchello del Metauro…”.
Da bere ascoltando “WILD HORSES” dei ROLLING STONES.
GAGLIARDI
Nome storico del Verdicchio di Matelica: la prima della Provincia di Macerata ad imbottigliare e la prima ad ottenere il marchio DOCG per il Verdicchio di Matelica.
11ha dedicati in gran parte al vitigno principe del Territorio coltivati con il minimo impatto ambientale possibile ed una produzione di livello ASSOLUTO.
VERDICCHIO DI MATELICA DOC 2022: il naso propone una bella commistione di mineralità, note vegetali e toni fruttati che è piacevolissimo cercare di separare, ci sono le erbe amare, ci sono la pera e la frutta tropicale, una profonda, sapida, gessosa mineralità, c’è…
Sorso spiccatamente verticale cui si associa una incredibile persistenza minerale per un assaggio che…saranno almeno due.
MARCHE IGT CILIEGIOLO “CERESI” 2022: ciliegie, lamponi e quelle visciole che nelle Marche sono di casa illuminano una tela balsamica graffiata qua e là da sottili vegetalità.
Sorso di bella coerenza, ravvivato dall’intrigante grip tannico con un lungo finale che racconta di note di rabarbaro che accompagnano dolcezze fruttate.
L’ABRUZZO
CINGILIA
L’Azienda di Fabio (Di Donato) sta a Cugnoli (PE).
Solo vitigni del Territorio per vini che sanno di Territorio.
Massimo rispetto per le Tradizioni e per l’Ambiente, niente chimica e risultati che portano una firma inconfondibile e che dovete davvero assaggiare.
E pensare che un paio di anni fa…soprattutto il Pecorino…
Vabbè, è bello vedere le Aziende crescere e rivedere il proprio giudizio.
BBravo!
COLLINE PESCARESI IGT COCOCCIOLA 2022: un prato fiorito, le amaritudini del pompelmo non maturo, del sambuco, delle erbe aromatiche e forsanco della liquirizia coprono la frutta bianca mentre un’idea di pietra bagnata fa da legante.
Sorso dissetante, leggiadro, fresco e scorrevolissimo, un saltellare fischiettando fino ad un finale agrumato e salino che pare quasi un margarita.
COLLINE PESCARESI IGT PASSERINA 2022: oggi forse andavo troppo di corsa ma me lo ricordavo differente.
Sottilesottile nei suoi toni di fiori bianchi ed agrumi maturi vorrebbe ben più del tempo che ho da dedicargli per sciorinare quanto di erbe aromatiche e mineralità si percepisce in sottofondo.
In bocca dimostra quanto fossi poco ben disposto all’atto di ficcare il naso nel calice, un sorso, poi un altro, senza pause, perché è così!
Agile, vibrante, disseta ed ingolosisce dimostrando una muscolatura ben più definita di quanto immaginato.
Manca di un po’ d’allungo ma…certi vini sono buoni così.
COLLINE PESCARESI IGT PECORINO 2022: ne avevo già scritto (qui insieme alla Passerina precedente) ma siccome lo ri-assaggio per gola mi tocca dire di nuovo dire qualcosa.
Il naso è di sottile complessità e sciorina una pletora di agrumi dolci e profumatissimi prima di lasciare che le amaritudini di salvia prendano possesso di un palcoscenico su cui ben più di semplici accenni pirici puntino luminosi spot.
Il sorso è una lama a doppio filo affilata a pietra da freschezza e minerale sapidità, di ottima rispondenza e con un finale scoppiettante.
Un Pecorino da non perdere!
VINO BIANCO “COLLE BERDO VIGNE VECCHIE” 2021: un Trebbiano da vecchie pergole che sanno davvero fare il proprio lavoro.
Un naso che ancora una volta accantona la classica frutta a favore delle note vegetali della nespola, alle amaritudini della mandorla e degli agrumi verdi chiudendo su fiori, soffi mentolati e mineralità rocciose.
Il sorso è morbido, grasso, quasi burroso ma mostra al contempo spalle fresco-sapide toniche e muscolose.
Di bella rispondenza concede un assaggio senza cedimenti e chiude su toni di profonda, salina mineralità.
Un Trebbiano per quelli che “il Trebbiano è solo Trebbiano” (anche se qui, parlando di “vigne vecchie”, non c’è sicuramente solo Trebbiano).
Da bere ascoltando “IN VIAGGIO” dei CSI.
COLLINE PESCARESI IGT ROSATO 2022: un “Rosato” per quelli che ancora non hanno capito quale debba essere il colore del Cerasuolo e quale ruolo debba occupare nello strano mondo del vino.
Quasi Montepulciano già all’occhio, del “genitore” racconta la freschezza del frutto croccante, della ciliegia e dell’amarena, dell’agrume rosso, quella sottilissima vena vegetale, quel non so che di selvatico…
Ed il sorso è fotocopia dell’olfatto, gustoso, con quel tannino che acchiappa, quella freschezza esuberante, quella sapidità luuuuungaaaaa, quell’idea di tè!
Un vino a 720°, dal “brodetto alla vastese” alla “pecora alla callara” passando per salumi, formaggi, chiacchiere ed amici.
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC 2020: cosa ci si poteva aspettare dal Montepulciano dopo averne assaggiato la versione “decolorata”?
Sorpresa!
Mi sarei aspettato il frutto in bella mostra ed invece sono i fiori, rossi si ma secchi, ad attirare l’attenzione, e poi le spezie (anche quelle dolci), la liquirizia, ben più che un alito di balsamicità ed un tocco di elegante rusticità.
Sorso di grande freschezza e comparabile sapidità che evidenzia, ora si, la sostanza della frutta senza mai scadere in dolcione debolezze, lungo e balsamico chiude su note di alloro e bacche di ginepro.
Questo me lo riassaggerò con calma perché…lo so io!
COSTANTINI
Ad un niente dall’Adriatico ed a poco più dal Gran Sasso, lì stanno Città Sant’Angelo e l’Azienda Costantini.
Oltre un secolo di Storia alle spalle ed un oggi quasi ventennale per una produzione vasta (TROPPO vasta) che racconta il Territorio attraverso i vitigni autoctoni con alcune chicche che ci ricordano il passato della Regione.
ABRUZZO DOC PECORINO 2018: vestito dell’etichetta che fu Vi schiarisce un po’ le idee su quello che dovrebbe raccontare un Pecorino e sulla propria capacità di sopportare il peso degli anni.
Il naso è ancora brillante anche se sembra aver messo la testa a posto ed aver calmato l’irruenza giovanile e la mineralità gira ancora a testa alta.
Più rotonde le note della frutta, più maturi il pompelmo e la pesca, vegetale con garbo la nespola, non più freschissimi i fiori di campo e, appena fuori luogo, un’idea di soffitta polverosa che però dai, ci può stare.
Sorso caldo e morbido con ancora tanta freschezza da comunicare ed una scia sapida lungalunga che Vi tiene per mano mentre sgranate con ordine il rosario dei ben rispondenti richiami olfattivi.
Bella prova d’autore (e con un’etichetta più affascinante dell’attuale).
LA CAMPANIA
CAVASETE
Azienda giovanissimissima e piccolapiccola quella di Giuseppe (Luongo), 3 anni ed appena un ettaro dedicato tutto all’Asprinio (allevato nella classica forma dell’alberata aversana in buona parte a piede franco).
Un vino legato a filo doppio con la Storia della viticoltura casertana, pressoché sconosciuto anche ai “locals” e che solo recentemente sembra voler rialzare la testa per riappropriarsi della propria dignità grazie anche e soprattutto ad Aziende come quella di Giuseppe che, anche nel nome vuole ricordare quanto fosse apprezzato anni fa dai portuali napoletani.
ASPRINIO DI AVERSA DOC “FORMIONE” 2022: l’olfatto è sorprendentemente orizzontale, quasi ad arridere quelli che, poco distante, hanno le gambe tremanti in cima allo scalillo.
Di camomilla, quella fresca ancora da cogliere, ce n’è un prato pieno, le mele sono mature (forse troppo) e le erbe aromatiche fanno compagnia ad un sottofondo di spezie d’oriente.
Sorso sapido e citrino a nascondere le morbidezze dell’altra frutta con un finale in cui la mineralità accenna a sbuffi sulfurei.
ASPRINIO DI AVERSA DOC “HERANOVA” 2022: questo viene dall’alberata storica, quella a piede franco ed alta “dodicimetridodici”!
Al naso è vertiginosamente verticale quanto lo scalillo su cui sarete saliti per vendemmiarne i grappoli e le erbe aromatiche (ed il rosmarino in primis) vi tengono la mano qualora abbiate paura di cadere.
La frutta è un materasso di susine, limone e mela verde (ma c’è pure un ananas inaspettato) pronto ad attutire l’eventuale caduta.
Il sorso?
Didattico!
Fresco, sapido, morbido quanto serve e di vulcanica sapidità.
L’Asprinio, quello che era, quello che deve essere.
Da bere ascoltando “PROTECT THE LAND” dei SYSTEM OF A DOWN.
ASPRINIO DI AVERSA DOP SPUMANTE “PASION” BRUT: al naso la carbonica veicola veloce cedro e limone lasciando un pochino indietro la mineralità.
Al sorso, invece, freschezza e minerale sapidità sembrano essere decisamente più in equilibrio e si accompagnano a sottili ricordi di mandorla e spezie appena piccanti.
Questo beh…mentre me lo bevo d’un fiato, aspetto che diventi Metodo Classico.
TERRE DELL’ANGELO
Un’Azienda fatta di amici e di amore per il Territorio del Matese.
Una produzione dedicata esclusivamente ai vitigni autoctoni con un occhio di riguardo a quel Pallagrello per cui si facevano follie alla Corte dei Borboni.
p.s. producono anche EVO con la varietà Tonda del Matese, ma questa è un’altra storia e ve la racconterò quando riuscirò ad assaggiarlo.
TERRE DEL VOLTURNO IGT “L’ASTRALE” 2022: 4gg sulle bucce e sei mesi di anfora (Tava) per questa Falanghina che racconta amaritudini d’erbe aromatiche (salvia e rosmarino), balsamicità di timo e forse mentuccia, freschezze di scorze di cedro, sostanza fruttata, luminosità floreali (ginestra), spezie orientali e profonda mineralità.
Sorso polposo, grasso, di tagliente freschezza e minerale sapidità, reso vieppiù interessante dal grip tannico e da una persistenza totale.
La rosa dei venti Vi indicherà la strada e la tavola sarà la meta perché questo è un vino gastronomico!
TERRE DEL VOLTURNO IGT “IL TEMPO” 2017: Pallagrello Nero, ovvero il vino della Corte dei Borboni, quello che pochi conoscono.
Al naso regala freschezze balsamiche a gogo e del bosco i piccoli frutti e le felci mentre degli agrumi l’arancia amara.
Poi un tocco di china ed un ché di selvatico davvero intrigante.
Il sorso è la fotocopia di quanto percepito all’olfatto, fresco e sostenuto da tannini ancora vispi.
Asciuga, riscalda e spinge sulla sapidità per strizzare l’occhio invitandoVi ad un secondo bicchiere.
“IL TEMPO” è quello che non si ferma e nessuno ci potrà mai ridare ed anche questo vino lo beviamo d’impulso rendendoci poi conto che avremmo dovuto aspettarlo almeno altri 3 anni, ma ormai…
Da bere ascoltando “TIME” dei PINK FLOYD.
ED ORA?
Beh, ora è intanto il momento di ringraziamenti, agli Organizzatori che mi hanno ospitato ed ai Produttori che hanno sopportato le mie chiacchiere, ed è poi il momento dell’attesa per una Edizione 2024 che spero di poter seguire con più attenzione e cui spero partecipino un numero ancora maggiore di Aziende.