TIARE, dall’italiano “Terra”.
Roberto (Snidarcig) e sua moglie Sandra ne hanno 10ha in quella Vencò-Sant’Elena che è ancora Italia ma già Slovenia (o forse è il contrario).
Ma è solo l’uomo a disegnare confini, Collio e Brda non sanno disegnare linee immaginarie su una carta e se ne fregano della politica.
Qui conta il fare, piegarsi (ma mantenendo la schiena dritta), sporcarsi le mani, sudare, inseguire un’idea, crederci fino in fondo, riuscire…
Certo ne avrete già lette di cose sull’Azienda (e senon l’avete fatto fatelo ora, chè ne ho scritto anch’io) e quindi mi permetto di non tediarVi più di tanto limitandomi a ricordarVi delle circa ottantamila bottiglie e delle 15 (mi pare) etichette.
Vi dico però come ci sono finito io la prima volta, troppi anni fa…
Di quel giorno e del modesto tragitto tra la mia casa in Friuli e la loro Azienda devo ringraziare il Messaggero Veneto, quotidiano locale quantomeno “sorprendente” in termini di articoli pubblicati.
Beh, quel giorno di qualche lustro fa annunciava che un Sauvignon friulano (il loro) era stato giudicato il migliore del mondo al Concours Mondial de Bruxelles.
Mano quindi alla cartina (Google Maps era lungi dal venire) e via.
Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta (ed anche di vino nel bicchiere), Roberto però ha continuato per la sua strada, incurante anche di una querelle che alzò un gran polverone qualche tempo fa (e che, con mia grande meraviglia, qualcuno si è piccato di ricordarmi pure ad un Evento importante di qualche mese fa).
I suoi vini continuano a raccontare con stile eleganza, pulizia e Territorio.
Si, vabbè, ma ‘sto vino?
Eh, c’avete ragione, basta chiacchiere, chè qua s’ha da parlare di Sauvignon!
Certo, tutti i vitigni hanno una propria personalità, ma il Sauvignon…
Il Sauvignon è veramente monello!
Semiaromatico, spiccatamente varietale…
Difficile fargli mettere la testa a posto!
Quando sposa un calcare che schifa l’acqua vuole per forza farvi schioccare la lingua a suon di impertinenti vegetalità ed esige il coraggio dell’attesa da chi vuole stondarle a favore di un frutto più “fruttoso”.
E quello di Roberto segue con rigore la strada di mattoni gialli senza mai rischiare di addentrarsi nel bosco.
In questo sta, forse, l’unica stonatura di un vino sorprendentemente perfetto.
In lui è forse proprio ‘sta “perfezione” quel difetto che diventa caratteristica, quel “naso di Rossy de Palma”, che cerco in tutti i vini.
Didascalicamente green, uno scaffale ordinatissimo sul quale non perderete tempo a trovare la salvia ed il sambuco, la foglia di pomodoro e quella di peperone, il lime ed i limoni, la genziana ed il bosso…
E mentre dalle scatole più in alto tirerete fuori la pesca bianca e ben più che qualche candito, Vi accorgerete che quell’anima minerale della ponca non è affatto polvere che si può soffiar via, ma cicatrice profonda da accarezzare per ricordarsi sempre da dove si viene.
Il sorso gli dona misura, bacchetta le verzure, le mette in riga, gli insegna a comportarsi ed a lasciar parlare anche il frutto.
Certo, le dolcezze si eclissano al sorgere dell’agrume, e la scena è presto dominio di quel mare che era, di un’acqua che ora è sabbia e scaglia.
Un vino di sostanza che nessuno può permettersi di mettere in un angolo.
Tiratelo fuori!
Da bere ascoltando “Tu sês ajar” dei MITILI FLK.
A proposito all’oste dovrete lasciare una ventina di “euri” ma…”quanno ce vo’ ce vo‘”!