
IL COSA ED IL DOVE
Seconda Edizione per un ROME WINE EXPO che si pone già come uno degli Eventi di riferimento del panorama romano.
4, 5 e 6 Marzo le date, il Grand Hotel PALATINO la location, RISERVA GRANDE l’Organizzatore di una tre giorni dedicata alla Cultura del vino e che ha visto un bel successo di pubblico.
Giornalisti, addetti del settore e semplici winelovers hanno affollato i tavoli dietro i quali una cinquantina di Aziende (tralasciando Consorzi e rappresentanze) si sono spese per promuovere le le proprie produzioni di eccellenza.
Un bell’Evento a latere del quale sono state organizzate diverse ed interessanti masterclass di approfondimento.
Tutto perfetto?
No, assolutamente.
Non esiste nulla di perfetto e “chi fa” qualcosa sbaglia sempre, anche quando ci mette il cuore.
La cosa che mi è piaciuta meno (ma chi mi segue ‘sta cosa l’avrà già letta e riletta) è stata la divisione in due sale dei Produttori.
Una divisione necessaria per assicurare il giusto spazio a tutti ma che, nel mio immaginario, separa sempre i “figli” dai “figliastri” (so di essere anziano, ma pure io c’ho messo un po’ a scoprire che c’era un’altra sala).
Altra cosa poco carina è stata poi il pagamento del calice per quanti in possesso di un accredito.
Premetto che la cosa era stata messa bene in evidenza (unitamente all’impossibilità di portarsene uno proprio da casa) ma, mentre considero un investimento in Cultura lo spendere 5€ o 25€, non trovo un senso nell’acquistare un calice di cui credo nessuno sappia poi cosa farne.
Avrei preferito pagare per quella consuetudine della mia infanzia che si chiamava “vuoto a rendere”.
Spendere 5€ per l’utilizzo ed il successivo lavaggio e stoccaggio dei calici sarebbe almeno più “green” (oltre che in linea con un mondo del vino che, spingendo per bottiglie più leggere, da tempo ha imboccato questa strada).
Comunque, considerazioni personali a parte, credo di poter dire essersi trattato di una tre giorni intensa e ricca di spunti.
Bravi tutti!

GLI ASSAGGI
Tanto, davvero tanto da assaggiare.
Troppo per una persona sola (anche avendo avuto a disposizione) tutti e tre i giorni.
Come al solito dunque, il mio personalissimo report sarà necessariamente parziale ed incompleto.
Stavolta sono quasi riuscito a tener fede al proposito di “skippare” quanti già conoscevo (da alcuni Produttori NON ho potuto proprio NON fermarmi) e, seguendo il solito estro, naso e buona sorte, ho potuto conoscere diverse nuove realtà davvero molto interessanti.
Date una letta alle mie proposte, correte ad assaggiare e, se Vi va, condividete e datemi qualche dritta!
IL PIEMONTE
I DOF MATI
Sara (Paladini) è stata la prima persona che ho visto entrando in sala e, se nel corso di “NEBBIOLO NEL CUORE” m’aveva presentato l’Azienda “inchiodando” la mia attenzione, stavolta le è bastato uno sguardo per ribadire il fatto che dovessi muovermi fino alla sua “casella”.
Come scrissi la volta scorsa, con le Donne non si può scherzare.
Dell’Azienda e dei vini potrete leggere qui (quelle che seguono sono solo annotazioni a due mesi di distanza) mentre il perchè degli ascolti consigliati beh…chiedetelo a Sara.
COLLINE NOVARESI DOC MERLOT “TORNATO” 2021: Merlot suona male in un Piemonte che per tutti si legge Nebbiolo ma…
Ma qui, a Fara Novarese, è un Piemonte differente ed il Merlot, quando Sara è arrivata, stava lì ad aspettarla…
Francese ma “sanculotto”, poco sabaudo nel suo incedere lento ed inesorabile tra le caselle fino al fondo di una scacchiera di frutti di bosco e balsamicità.
E da lì, con piglio differente e più nobili insegne, torna indietro in un assaggio che racconta di foglia di peperone e vulcanica mineralità.
Parola d’ordine “semplicità”, a volte non serve altro per avere successo.
Fatene scorta!
Per le Vostre orecchie usate “ONLY A PAWN IN THEIR GAME” di BOB DYLAN.
COLLINE NOVARESI DOC VESPOLINA “BONA” 2021: sisi, è dedicato a Bona di Savoia, ma io non posso staccarmi dall’immagine di Beth Harmon che questo vino mi rimanda.
Un animo complesso ed agitato, guance che arrossiscono di marasca per svelare poi un animo di pepe che, sospinto da mentolata freschezza spinge al peccato di un sorso che rivela delicata potenza, travia con una guepiere di tannini e sorprende con peridotitica mineralità (lo so, le peridotiti stanno a Balmuccia e non a Fara Novarese ma mi piaceva la citazione geologica).
Bevetelo ascoltando “I’VE SEEN ALL GOOD PEOPLE” degli YES.
COLLINE NOVARESI DOC NEBBIOLO “TRAMA” 2021: due mesi fa, il “cavallo” era un mustang restio alle redini.
60gg di vetro in più gli regalano oggi un’andatura al piccolo trotto che Vi accompagna a cogliere frutti di un bosco che non cela l’umidità di quella terra che gli zoccoli alzano non appena inizia a galoppare in un sorso spronato da tannini ancora dinamici ma che hanno cominciato ad aggiungere ordito alla “TRAMA”.
Un vino “sottile” (ma non di struttura).
Per lui Vi suggerisco “CHESS” di RIVERS CUOMO.
GHEMME DOCG “IL MATTO” 2018: “matto” come lo scacco a quel “re” che ricordavo diverso e più scuro.
Un “re” che oggi mi sa di fiori, dei narcisi sui prati salendo al Monte Rosa, ma non dimentica il tabacco, l’amaricante della china ed una indomita freschezza mentolata.
Un “re” che al sorso indossa il morbido e broccato mantello dei frutti rossi ed una stola di tannini, un “re” che non vuol mollare lo scettro minerale.
Il “re” è morto, lunga vita al “re”!
Mettete su “THE SEVEN SEAL” di SCOTT WALKER.

IL VENETO
I CAMPI
Valpolicella, Soave, 12ha dalle ghiaie delle valli alle marne delle altezze.
Nel nome “I CAMPI” la volontà di Flavio Prà, un progetto che parte dal terreno per arrivare al vitigno.
LESSINI DURELLO DOC SPUMANTE BRUT: 24 mesi di Metodo Martinotti che spengono un po’ i profumi lasciando in evidenza picchi di lime e mela verde e relegando vaghe dolcezze pasticcere ad un orizzonte lontano.
Abbastanza cremoso l’assaggio, sapido, fresco e dagli ammiccanti ritorni fruttati.
Beh…forse (ma forse) boh?
SOAVE DOC “CAMPO BASE” 2022: profuma di tiglio e biancospino ma c’è pure il dolce della mela Golden e della pesca e l’amaricante presenza della salvia su uno sfondo di buona mineraltà.
Sorso “easy”, che punta deciso sulla spalla acida lasciando alla sottile sapidità il finale.
Un po’ troppo piacione, ma io non sono il mercato.
SOAVE DOC CLASSICO “CAMPO VULCANO” 2021: irretisce proponendo mela e gelsomino, stupisce di agrumi che contrastano dolcezze di tiglio e camomilla ma…lo fa con piglio pietroso e vulcanico.
In bocca le morbidezze sembrano prendere possesso del palcoscenico ma, coup de teatre, sono le spinte acide e sapide e la suggestiva mineralità a catalizzare l’attenzione.
LUGANA DOC “CAMPO ARGILLA” 2021: se cercate un vino che già al naso Vi stupisca per verticalità beh, passate oltre.
Qui gli spazi sono ampi, i prati sono in fiore, la mela è pastosa e a ravvivare quest’atmosfera di calma arrivano freschezze di cedro ed erba limoncella e le giuste amaritudini delle erbe di campo.
Il sorso e sostanzioso ma scorrevole, di morbida avvolgenza e con un sapido ed amaricante sprint finale.
VALPOLICELLA SUPERIORE DOC 2020: frutti di bosco precedono il rosso di una rosa ed il cupo incedere di cioccolato, china, spezie scure, balsamicità di rabarbaro ed un accenno terroso.
Il sorso si rivela più morbido dl previsto, fresco e gustosamente tannico, con un finale dedicato alla sapidità.
Pronto e dinamico.
VALPOLICELLA RIPASSO DOC “CAMPO CIOTOLI” SUPERIORE 2018: l’etichetta “geologica” ci introduce alla parte “alluvionale” dell’Azienda ed il naso, scansata una punta di alcol, racconta storie di marasca candita e susina nera.
C’è poi una rosa, rossa, ad introdurre la spezia della noce moscata, una dolce balsamicità di tabacco ed un graffio di erbe aromatiche.
Sorso caldo, glicerico, intenso, succosamente fresco ed audacemente tannico, con un finale che rimanda alle note olfattive con l’aggiunta di un quid di girella di liquirizia.
AMARONE DELLA VALPOLICELLA DOCG “CAMPI LUNGHI” 2017: al naso dimostra di avere il piede pesante sull’acceleratore delle spezie ma anche la delicatezza di un frutto scuro e maturo e la graffiante personalità di una mai sopita vegetalità.
L’assaggio meraviglia per una dinamicità che, inattesa, scalza dal podio l’ipotesi di un Amarone tutto ciccia e sostanza.
Grintoso, mantiene costante la tensione gustativa giocando con freschezze e tannini fino ad un finale lungo, amaricante e sorprendentemente secco.

IL FRIULI VENEZIA GIULIA
COLMELLO DI GROTTA
15ha, in quella punta sud del Collio che di là è Isonzo.
Un’Azienda a trazione femminile che crede talmente tanto nelle capacità rappresentative del Territorio che hanno i suoi vini da commercializzarli con calma serafica.
SPUMANTE METODO CLASSICO BLANC DE BLANCS “COLDIGROTTA”: 24 mesi sui lieviti per un vino prodotto in quest’unica annata 2016.
Uno Chardonnay Musque elegante e profumatissimo.
Floreale si, ma dolce di mela Fuji e schiette note di pasticceria a declinare un caramello che la carezza delle bollicine trasformano in mou ed una frutta secca che è quasi arachide.
Sorso cremoso e fresco, segnato dai rimandi fruttati e da un finale lungo e privo di sbavature.
COLLIO DOP RIBOLLA GIALLA: naso inizialmente timido e poi ben centrato sulla freschezza della mela Granny Smith e sulla dolce pesca.
Fingo di dimenticarmi di un’ananas che non avrei voluto trovarci e mi concentro sui bianchi gelsomini e su una mineralità che comunica quasi piccantezze.
In bocca è elegante e composto nel pareggiare la spinta sapida con la freschezza chiudendo su toni di agrume dolce.
COLLIO DOP PINOT GRIGIO: marino, di un mare sepolto che c’ha lasciato quasi le acciughe.
Eppure dolce, di kiwi e di canditi, in una atmosfera elegantemente boisè.
Sorso grasso, glicerico, decisamente sapido ed eternamente fresco che chiude contrastando con amaritudini le dolcezze olfattive.
ISONZO DEL FRIULI DOP FRIULANO 2019: sono impianti di cinquant’anni quelli che producono ‘sto Tocai che mi dice di grassezze d’altri tempi.
L’erbaceo di un prato chiazzato di margherite, la dolcezza della pera, l’amaritudine del timo serpillo, spezie a comunicare dolcezze e forse un piccantino di zenzero che…
In bocca è impattante, di sapidità cui la pur elevata freschezza stenta a stare a ruota, lungo, lungo…
Che bel Tocai!
COLLIO DOP SAUVIGNON: dai cloni storici del Sancerre arriva un mix di foglia di pomodoro e ginestra, un (pare inevitabile) excursus tropicale, freschezze di scorza d’agrume e balsamicità mentolate.
Per una volta, fresco più che sapido, ordinato e coerente nel riproporre i descrittori olfattivi e di buona persistenza.
Beh, dai, appena performante.
ISONZO DEL FRIULI BIANCO “SANFILIP” 2017: un vino del genere non è facile farlo e tantomeno descriverlo.
Quasi burroso nel comunicare una frutta secca che ha grassezze d’arachide, e poi quella sferzata di piccantezze speziate, quegli agrumi che sono dolci, i pistilli dello zafferano e quell’atmosfera che sa di incontri clendestini…
Ed il sorso conferma ed amplifica, sorretto da spalle fresco-sapide larghe e ben muscolate, minerale, profondo e…infinito!
Si becca il mio premio “STUPISCI”!
ISONZO DEL FRIULI DOP MERLOT 2019: c’è un po’ di Loira nelle barbatelle di questo Merlot che sorprende per dolcezze olfattive.
Frutti di bosco, fragole e pure visciole sono in confettura ma c’è un soffio mentolato che ne sorregge lo spirito ed un tocco di cacao ci mette lo zampino scrivendo una virgola di amaritudine.
Fresco e sapido, fa leva sulla morbidezza per tenere a bada tannini piacevolissimi ma un po’ monelli chiude con un acuto di amaritudini ferrose più che ematiche.
Sorprendente.

LA TOSCANA
8ETTARI
Qui, sotto l’Amiata, degli “otto”, 2 sono di ulivi.
Una piccola e recente (2015) realtà con la passione per il Sangiovese (quello dell’Areale di Montecucco) ed una produzione territoriale ed affatto spocchiosa.
TOSCANA IGT “PRINCIPIO” 2018: 80 parti di Sangiovese ed il resto lasciato a Cabernet Sauvignon, Canaiolo e Colorino per un naso di marasca sotto spirito, arancia rossa e delicatezze di viole che il poco legno vecchio non cancella.
Poi è la volta delle erbe aromatiche, del giusto di spezie scure e di un tocco terragno.
Sorso fresco, succoso e dai tannini divertenti che strizza l’occhio alla frutta ma sorprende per vegetalità di foglia di peperone e sprint minerale.
Bella prova.
MONTECUCCO SANGIOVESE DOCG 2017: un mix di legni vecchi lungo un anno per una atmosfera di suadente balsamicità all’interno della quale alzano la testa ciliegie mature, viole essiccate, macchia mediterranea e spezie dolci.
Sorso materico, fresco e grippante che rimanda alla frutta e chiude con sapida mineralità.
MONTECUCCO SANGIOVESE DOCG RISERVA 2017: un Sangiovese (100%) di spiccata balsamicità mentolata, che accosta questa al grip del cacao in un abbraccio che sa di after-eight.
Ma ci sono anche piccoli frutti rossi, erbe aromatiche ed un pot-pourrì di fiori.
Sorso sostanzioso nel quale i tannini vellutati affiancano iniziali carezze del cioccolato che evolvono in una chiusura minerale ed amaricante di china e liquirizia.

LE MARCHE
TIBERI DAVID
Appena 1ha (vabbè, 2 se consideriamo l’altro in affitto) in quel di Loro Piceno (MC) in quelle Marche che ultimamente sto bevendo parecchio.
Montepulciano, Sangiovese, Trebbiano e Verdicchio a raccontare il lento trascorrere del tempo per mezzo di quel VINO COTTO STRAVECCHIO che nel maceratese è largamente diffuso.
VINO COTTO STRAVECCHIO “OCCHIO DI GALLO” 2011: il mosto viene fatto bollire a fuoco diretto in una caldaia di rame prima di passare in quella botte dove la fermentazione (spontanea e senza aggiunta di lieviti) sarà solo l’inizio di un percorso che attraverserà il tempo e lo spazio.
Il naso gioca con l’ossidazione ed è un sabba di frutta secca (dai fichi alle nocciole passando per la dolcezza dei datteri) e spezie (c’è la noce moscata ma pure la cannella).
Il sorso è caldo e morbido, con una struttura che mi aspettavo avesse un’impalcatura più importante e che risulta invece di buona dinamicità ed il finale è di scontata coerenza con l’olfatto
VINO COTTO STRAVECCHIO “OCCHIO DI GALLO” 2003: otto anni in più per una freschezza che, scomodando il caramello delle fiere di paese, mi pare essere superiore così come il corredo speziato.
Per quanto riguarda il sorso leggete pure quanto scritto per la 2011 ma questo sembra avere davvero bisogno di essere dimenticato in cantina ancora per un bel po’.
Una nota relativa a quelle etichette che furono disegnate a fine ‘800 e che, in originale, vengono oggi applicate sulle bottiglie targate 1964!

L’ABRUZZO
FATTORIA GAGLIERANO
Dieci anni dopo i reimpianti del 2005 sono arrivate le prime bottiglie di questa giovane Azienda, una delle tante belle realtà di Città Sant’Angelo (PE) e forse l’ultima (o quasi) che ancora manca alla mia lunga “indagine” locale.
Rimedierò quest’estate, statene certi!
ABRUZZO DOP PECORINO 2018: la notizia che passi un anno in botte grande è la prima sorpresa.
Poi avvicini il naso e lo trovi complesso, forse anche troppo per un Pecorino.
La frutta gialla matura e la scorza d’agrume si fondono con un Oriente di spezie dolci e ben più del giusto di erbe aromatiche in una atmosfera di profonda mineralità appena sporcata dallo sgarbo di una nota brettata.
Sorso di dolci morbidezze e tirrenica salinità giocato su un calore che lo rende dannatamente simile a quel Trebbiano d’Abruzzo che tanto amo.
CERASUOLO D’ABRUZZO DOC “CiLiVò” 2019: al naso racconta la freschezza della melagrana e la gentilezza dei gerani.
Poi un tocco dolce di lampone, un graffio piccante di spezie, una sorpresa di selvatico ed un pendio di macchia mediterranea.
Il sorso dice del legno che stonda qualche spigolo del Montepulciano senza stravolgerne lo spettro gustativo, morbido e di marina freschezza con un bell’allungo sulle amaricanti note del carcadè.
Fateci quello che volete ma…brodetto alla vastese.
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC “AUÀ” 2016: scuro all’occhio ed al naso cui comunica more in confettura, spezie e quel bosco di cui non dimentica le corteccce.
Poi sono balsamicità mentolate e di tabacco ed un timbro grafitico.
In bocca è calore e tannini ancora pistoleri nonostante i 2 anni di botte.
Di piccante sapidità e con un allungo che non molla la presa.
Un po’ troppo “ciccione” per i miei gusti ma…davvero un bel Montepulciano.
In coda una nota su quel “brett” di cui ho scritto riguardo al pecorino: beh, quel timbro l’ho ritrovato in tutte e tre le etichette dunque lo “classifico” come filosofia produttiva e…come scusa per doverle ri-assaggiare con calma il prima possibile.

ANDREASSI
Siamo a Poggiofiorito (CH) e la scoperta è per me che, un nome storico dell’EVO abruzzese, strizzi l’occhio anche alle produzioni enoiche.
TERRE DI CHIETI IGT PECORINO “MUSA” 2022: c’è la pesca, ci sono i fiori di campo, ci sono le erbe aromatiche, c’è il mare sullo sfondo ma pure un sacco di frutta esotica che…preferirei non ci fosse.
Sorso fresco e sapido che di esotico ha poco (per fortuna) e della frutta dice tanto di pesca fino all’allungo finale.
Ni.
TERRE DI CHIETI IGT PASSERINA “MUSA” 2022: timido, al naso racconta mela verde, dolcezze d’acacia e freschezze d’agrume su uno sfondo vagamente balsamico.
Sorso equilibrato e di buona rispondenza gusto-olfattiva con un finale piacevolmente vegetale ed abbastanza persistente.
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC “MUSA” 2019: il naso è “facile”: frutta matura, visciole, viole, erbe aromatiche e spezie.
Nel bicchiere si dimostra fresco, sapido e di buona rispondenza ai descrittori olfattivi.
Serve altro?
Un bel sorso per tutti i giorni.
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC “IL CAVALIERE” RISERVA 2017: al naso la frutta è scura (mora, mirtillo, prugna secca) e rose e viole sono appassite.
Scure anche le spezie ad introdurre freschezze balsamiche, vegetalità di foglia di cassis ed uno sbuffo di camino.
Sorso glicerico e ciccione (forse troppo), fresco, ben centrato sul frutto e con un piacevole finale amaricante di china.
L’avrei preferito meno opulento ma parlo solo per me.

IL LAZIO
EMILIANO FINI
7ha sotto i Colli Albani, in quel di Aprilia (LT), poco più di un lustro di storia e circa 5000 le bottiglie prodotte con tanta attenzione al Territorio.
LAZIO IGT “LAVENTE” 2020: 3gg di macerazione ed un nome nuovo (mannaggia ai copyright) per una Malvasia Puntinata che si muove scaltra sul filo di una riduzione che alla fine risulta essere caratteristica e non difetto.
Vive del contrasto tra vulcanica mineralità e candite dolcezze e propone gentilezze di fiori di campo e freschezze di pompelmo.
Sorso dinamico e coinvolgente, fresco, salino e con un finale di osso di pesca che…
LAZIO IGT “CLETO” 2020: un Grechetto che sa di belzebù, che propone i kiwi della Pianura Pontina e la buccia d’agrume, la grassezza dell’arachide ed il calore delle stoppie.
Sorso coerente, con freschezza e sapidità che mostrano i muscoli ed un bel finale ammandorlato.

Una nota in coda a queste poche righe: Emilià, qu’a majetta la vojo pure io!

ASSOCIAZIONE PIWI INTERNATIONAL
Eh si, c’era pure un banco dedicato ai PIWI e dietro c’erano i ragazzi della CANTINA FRATELLI RANCHELLA (al secolo Francesco e Marco Ranchella) a raccontare oltre 150 anni storia, di contese tra “innestatori” ed “ibridatori” e di quell’idea di viticoltura che fa della resistenza della pianta il punto di partenza per una conduzione in vigna sempre più rispettosa dell’ambiente.
Il risultato?
Se non Vi dovesse essere mai capitato di assaggiare beh, andate e fateVi un’idea.
Personalmente sono ancora del parere che si tratti di una “moda” e che in quanto tale si debba affrontare la questione con i piedi di piombo per non snaturare tradizioni e Territori ma…sto alla finestra e seguo con curiosità l’evolversi della questione.
Comunque, in questa occasione ho assaggiato un paio di cose: VINO BIANCO “RESILIENS” BIOLOGICO – LE CARLINE e EPPENHEIMER STEMMLER SOUVIGNIER GRIS SPÄTLESE TROCKEN – BERGSTRÄSSER WINZER.
Il primo, prodotto da 8 varietà, presenta un naso che strizza molto l’occhio al Sauvignon: spinge sul bosso e cerca di indorare la pillola con biancospino, pesca e vaniglia mentre basilico e buccia di limone provano a renderlo più interessante.
Il sorso è fresco ed affilato, ben centrato sulle erbe aromatiche e con un finale tutto sale e limone.
Il naso del secondo mixa i toni del Moscato con una spinta di pompelmo in una atmosfera leggermente fumè.
Il sorso evidenzia una buona spalla fresco-sapida e lascia intendere vaghe dolcezze ma…è decisamente “tronco”, lasciando come un vuoto a metà dell’assaggio.
Per ambedue preferisco limitarmi a dire che, a mio modesto parere, c’è ancora tanto da imparare sul come vinificare queste “nuove varietà”.
Stay tuned.
Il PIWI di LE CARLINE… …e quello di BERGSTRÄSSER WINZER
ED ORA?
Ora, se devo essere sincero, aspetto che arrivi Pasqua, chè sono un po’ stanchino e vorrei approfittare di qualche giorno di festa per riordinare le idee e programmare il resto della stagione.
Ma c’è davvero tanta carne sul fuoco, una ridda di eventi cui partecipare per salutare amici, conoscerne di nuovi ed imparare altro.
Certo che se qualcuno di Voi mi volesse dare una mano mi farebbe piacere…ma credo continuerò ad essere l’unico (o quasi)a dar voce a chi si sporca le mani di terra per il nostro edonismo.
A presto.