IL COSA ED IL DOVE
29 e 30 Gennaio 2023 il “quando”, la NUOVA FIERA DI ROMA (che poi sta praticamente a Fiumicino) il “dove”, la presentazione del nuovo catalogo di “PROPOSTA VINI” il “cosa”.
Un padiglione che sembrava un hangar di Cape Canaveral e tanta, troppa roba da assaggiare anche avendo avuto tutti e 2 i giorni e non solo 2 ore.
Comunque, stiamo parlando della presentazione di uno dei cataloghi più ampi della distribuzione italiana di vino.
Un’Evento dunque squisitamente commerciale cui io, Vi domanderete cosa ci sia andato a fare.
In primis a salutare un po’ di amici e poi…
Poi queste sono le occasioni in cui è più facile incontrare di persona anche quei Produttori che più rifuggono i banchi d’assaggio per i comuni enoappassionati (o, più spesso, enofighetti).
Davvero imbarazzante passeggiare tra i tavoli senza sapere dove fermarsi…
Pronti per il mio personalissimo report?
Via!
GLI ASSAGGI
Come Vi ho detto, per una “congiunzione astrale negativa” avevo a disposizione solo un paio d’ore per ficcare il naso da qualche parte, dunque mi sono affidato all’ineluttabilità del caso, al fattore “C” ed ai consigli di qualche amico Produttore (pure di quelli che la sera prima stavano a cena da me).
Un salto al Nord, un passaggio a volo radente sul Centro, un pizzico di Sud…
Insomma, ho cercato di fare quattro passi per la penisola (ma ci sarebbe stato da assaggiare persino l’imponderabile della Svezia).
E qualche consiglio beh…sono riuscito a darvelo comunque.
Dategli una letta e correte ad assaggiare!
IL TRENTINO
CASTEL NOARNA
Prendete un castello dell’XI Sec. sopra Rovereto, metteteci 6ha di vigneti intorno (e pure un CRU che confina con i boschi) ed ecco fatta l’Azienda.
VIGNETI DELLE DOLOMITI IGT NOSIOLA 2020: 5gg di macerazione, tanto il tempo che gli viene concesso per convincerla ad esprimersi con quei profumi che è così restia a regalarci e la vinificazione ricerca la freschezza nobilitando la tradizionale “alzata di cappello” quasi questo fosse un gesto elegante.
Qui Marco (Zani) non solo fa vino dal 1989 ma dimostra la propria “venerazione” per il Territorio con l’essere bio (e biodinamico) dal 2007 per quello che riguarda la campagna e la cantina e con la grande sensibilità artistica che traspare dalle etichette.
Sisi, mi direte di albicocca e pera, di una dolcezza camomillosa e di uno sprint d’agrume ma, alla fine, nomen omen, sarà la nocciola a monopolizzare il naso.
Il sorso è naturale, goloso, coinvolgente, ben stabile sulle gambe fresco-sapide ed il finale è di nuovo per il frutto del corylus avellana.
Lo “stelvin”?
Davvero un plus!
TRENTO DOC BLANC DE BLANCS 2016: 5 anni di lieviti e sboccatura nel 2021.
Uno Chardonnay di freschezza financo vinosa, che al fianco del pane tostato pone agrumi brillanti, graffiante mineralità ed una sottile speziatura che fa l’occhiolino.
Assaggio che propone grande equilibrio tra morbidezze e mineralità che s’allunga in una lunga scia sapida.
TRENTO DOC “DOSS AGU” DOSAGGIO ZERO 2014: dalla selezione delle uve di un CRU a spalliera posto sopra gli altri e sboccato anche lui nel 2021, si presenta in una veste totalmente differente.
Ciccione e complesso, il naso raccoglie freschezze ed ombre di bosco, tostature di nocciola, pesca gialla e cedro candito, soffi balsamici, calcarea mineralità ed il mistero di una atmosfera intrigantemente boisè.
Assaggio di dolomitica verticalità ed assolutamente allineato, che rimarca la complessità olfattiva calcando la mano su refoli iodati.
VIGNETI DELLE DOLOMITI IGT “CIMBER” 2019: Lagrein, un rosso che la tradizione vorrebbe rosato (ma in Italia si sa…).
Sa di bosco ma la ciliegia non ci sta a starsene zitta.
E le erbe aromatiche duettano con sottili speziature mentre la liquirizia tenta un acuto.
In bocca dà il meglio di se, irresistibilmente beverino, di dolomitica freschezza Vi accompagna gioioso ad un finale di melagrana e screziature dolci.
VIGNETI DELLE DOLOMITI IGT “MERCURIA” 2019: dietro una etichetta che è un riferimento affatto velato al processo alle streghe di Nogaredo del 1646, si celebra l’unione tra il Cabernet Sauvignon (che con l’innalzarsi delle temperature, finalmente matura anche a queste quote) ed il Merlot.
Un naso intenso, con il rosso della frutta (ciliegia in primis) a precedere vegetalità di cassis ed un intreccio di speziature.
Il sorso è un sabba di freschezza, sottili tannini ed intrigante vegetalità.
Vabbè, siamo didascalici: da bere con la cannuccia!
VIGNETI DELLE DOLOMITI IGT “ROMEO“: 80% Merlot ed il saldo di Cabernet Sauvignon.
Profondo il richiamo del frutto rosso, intrigante e dolce l’Oriente delle spezie, dolce anche quel tabacco che ben contrasta con leggere amaritudini di erbe di montagna ed aggiunge balsamicità ad una atmosfera di fumo e mistero.
Sorso polposo e morbido ma ben protetto da una robusta corazza fresco-sapida e tenuto ben sveglio da tannini che tessono trama ed ordito accompagnandoVi ad un finale di balsamica piacevolezza.
IL FRIULI VENEZIA GIULIA
DAMIJAN PODVERSIC
35000 bottiglie, 1000 per ogni anno di attività di questa Azienda del Collio Goriziano.
10ha di Italia su quelle carte disegnate dall’uomo.
Nessun confine in testa: Collio e Brda stesso suolo, stessa anima.
Damjan (oggi c’era sua figlia Tamara che ringrazio per l’attenzione dedicatami) ha avuto un “maestro” famoso, ma da tempo cammina ben ritto sulle proprie gambe.
VENEZIA GIULIA IGT PINOT GRIGIO 2020: cattura l’occhio ed al naso regala chiaroscuri.
Le erbe amare precedono il dolce della frutta matura, la liquirizia il miele…
E l’atmosfera mentolata introduce ad un sorso di grande sostanza, tannico quel tanto che serve a rendere ancor più divertente seguire il ritmo dettato da freschezza e sapidità.
COLLIO DOC “NEKAJ” 2019: il naso vive sulla lotta tra amaricanti scorze d’arancia e sbuffi iodati.
Cotognata e frutta secca sono un altro bel match in cui si fronteggiano le dolcezze ed il loro contrario.
Il sorso è materico, fresco, salato.
Solida la struttura ed impennante il finale, amplificato a transistor da quei raspi aggiunti in fase di vinificazione.
COLLIO DOC MALVASIA 2019: se fosse un colore sarebbe “giallo”.
Mela (cotogna), pesca, piccantezze di senape, amaritudini di salvia e dolcezze di zafferano in una atmosfera di profonda mineralità.
Sorso suadente ma di tagliente freschezza che, tra ricordi di stoppie, conduce ad un lungo e sapido finale.
COLLIO BIANCO DOC “KAPLJA” 2019: Chardonnay, Tocai e Malvasia per un naso davvero giallo.
Fresco di ginestra, caldo di grano, candito di cedro.
Poi sono note di sambuco, leggere piccantezze e, di fondo, la risacca di un mare che oggi è terra.
L’assaggio è un vasto orizzonte, carezzevole ma impreziosito dalle creste di marosi sapidi ed astringenti.
COLLIO DOC RIBOLLA GIALLA 2019: naso dai grandi contrasti: sambuco vs. messi mature e timo vs. miele.
Poi sono piccantezze di kren a dare un’ulteriore scossa.
Il sorso graffia palato e gengive con rimandi di erbe amare e scorza d’agrume ed il finale quasi salato.
COLLIO DOC RIBOLLA GIALLA 2010: una selezione con 6 anni di botte e 4 di bottiglia.
Davvero difficile descriverlo, non perchè lo spazio sia poco o perchè assaggiato in questa situazione, ma perchè è difficile sfogliare tante emozioni tutte insieme.
C’è l’albicocca disidratata, l’arancia candita, tanta frutta secca.
Le spezie sono dolci: cannella, noce moscata.
Le erbe di campo un tocco di gentile amaritudine.
Assaggio materico e collinare, i tannini graffiano il palato come le stoppie delle messi appena mietute
Il sorso, semplicemente, riempie.
Non sembra abbiate bisogno di altro, solo di camminare sull’affilata lama della freschezza e di stupirvi di dolcezze che sono raggi di sole sulla superficie di un mare che era e che ora fa sorridere con una sapidità che è piccante.
COLLIO ROSSO DOC “PRELIT” 2019: 70 parti di Merlot e 30 di Cabernet Sauvignon per un naso davvero “dark”.
Del bosco manca solo il lupo, le spezie sono pepe in grani.
Sorso irrefrenabile, tannini birbanti e finale balsamico e di salina mineralità per questa “pecora rossa” in un gregge di bianchi.
LA MARCHE
FATTORIA NANNÌ
Un nome che è dedica al vecchio proprietario dei 19ha dell’azienda.
Siamo ad Arsicci, frazione di Apiro, in provincia di Macerata.
Qui Roberto Cantori coccola vigne di 49 e 58 anni producendo ca. 40000 bottiglie.
Grande l’attenzione posta, in vigna ed in cantina, al mantenimento dei profumi e dell’aromaticità di un vitigno che, nella realtà, è ben diverso da quel pozzo di acidità che comunemente si crede.
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO SUPERIORE DOC “ARSICCI” 2021: se l’occhio si meraviglia della bassa alcolicità (12.5°), il naso dice di freschezza e mineralità, con agrumi pungenti a cercare di zittire le pietre.
Poi un tocco di mela, uno di pera ed un’idea di osso di pesca.
Sorso assolutamente allineato, scorrevole e di salinità quasi piccante.
COLLI MACERATESI RIBONA “MADRERATA” 2021: in un campo dii profonda mineralità gioca di contrasti: quello delle erbe di campo con la camomilla, quello della mela golden con gli agrumi, quello della pesca con la mandorla.
Sorso salino, agrumato e…IRRESISTIBBILE (con 2 “B” perchè, come mi è stato insegnato, la Ribona è “2 volte BBona”)!
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOCG CLASSICO SUPERIORE “ORIGINI” 2020 RISERVA: vigne vecchie e 12 mesi di batonnage gli conferiscono un naso davvero complesso e più fresco rispetto ad “ARSICCI”.
Spiccano le amaritudini di sambuco e finocchio selvatico, l’aromaticità della salvia, la ventata di freschezza della menta.
E non manca certo la frutta, quella gialla della pesca e quella a guscio di mandorle e nocciole, pure una spruzzata di limone…
Il sorso denota gambe fresco-sapide di muscolare solidità ma, rispetto al naso, sembra perdere parte della spinta verticale a favore di larghi orizzonti dove dolcezze di frutta, camomilla e spezie orientali rivaleggiano con i graffi di un agrume più presente e quelli di una calcarea mineralità.
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO SUPERIORE “CANTORE JOHN” 2021: dopo 18gg di macerazione (tutta la fermentazione), si presenta al naso con delicatezze inaspettate.
Gioca con dolcezze di frutta secca sotto miele e melone, pesca gialla ed albicocca e l’arancio ci mette uno sprint di freschezza.
Il voluminoso assaggio conferma l’olfatto, calcando la mano su una novità di mela (magari quella dei Sibillini) ed una litica mineralità.
Volete chiamarlo “orange” perchè fa figo?
Lasciate perdere le mode, qui c’è tanta tradizione!
18gg, tutta la fermentazione, di macerazione
LA VISCIOLA E IL VINO “NENA E VINCÈ”: una dedica ai nonni materni nel solco della tradizione maceratese.
Qui, Sangiovese e Montepulciano prendono a braccetto le visciole conservate da Maggio a Settembre con lo zucchero di canna.
Inutile dire che sono queste ultime a dominare il profilo organolettico di un prodotto da spendere con gelati o formaggi.
Davvero bellissime le etichette disegnate da Francesca Ballarini cui assegno il mio premio “OKKIO”.
IL LAZIO
CANDIDATERRA
Luigi ed Ercolino Sportiello hanno 2ha di vigna che, in quel di un sassolino nel Mar Tirreno qual’è Ventotene, vuol dire davvero un bel pezzo di isola!
Falanghina, Greco e Fiano, niente chimica, 2 etichette e poche bottiglie.
“PANDATARIA (IL BIANCO DEL CONFINO)” 2021: 60 parti di Greco, 30 di Fiano, ed il saldo di una Falanghina che segna parecchio.
Essendo superfluo definirne “marino” il naso, Vi dirò in primis della salvia, poi della dolce pesca bianca e del succoso mandarino, ma pure di gelsomini ed amaritudini di sambuco, chè pure dello zampino che ci mette il vulcano ve lo dovreste immaginare.
Sorso che fonde brezze e marosi, che rilassa e risveglia, lungo ed inesorabile.
Due parole due sul nome fatemele dire…
Quella che oggi è Ventotene, per Greci e Romani era “PANDATARIA” (terra dispensatrice di ogni bene).
Ben più prosaico quel “il vino del confino” che dice di tempi ben più prossimi e bui durante i quali il regime fece “prendere la residenza” ad Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Sandro Pertini.
Gran bella etichetta per un vino da non perdere!
VINO SPUMANTE “PANDATARIA (LE BOLLE DEL CONFINO)” BRUT: tutto Fiano e 5 mesi di Metodo Martinotti (in Continente).
Allora: intanto frutta secca, poi un bel limone succoso e dolcezze di pera.
Il sorso è dritto, tagliente, ben giocato sui rimandi agrumati e ritmato da marina sapidità ma…
Un gradino sotto al “BIANCO” perchè un pochino troppo “bollicinoso” per i miei standard.
Comunque, Bbravi!
LA CAMPANIA
VILLA DORA
A Terzigno si produceva EVO per tradizione (oliveti e vigneti vennero impiantati 4 anni dopo l’ultima eruzione del Vesuvio).
I vitigni?
Quelli storici dell’area: Coda di Volpe, Falanghina, Piedirosso e Aglianico allevati con la tradizionale pergola vesuviana
Si deve però aspettare il 2001 per vedere uscire sul mercato la prima etichetta di un vino nato quando Vincenzo Ambrosio decise che le conoscenze acquisite nella produzione di oli di Qualità potevano essere trasferite ai vini del Vesuvio
LACRYMA CHRISTI DEL VESUVIO BIANCO DOC “VIGNA DEL VULCANO” 2019: pur sulfureo
Manca di quel “boost” che ricordavo (e che dimostreranno avere le annate di cui leggerete più avanti).
Racconta di frutta a guscio, dolcezze di acacia e magnolia, amaritudini di erbe aromatiche.
Sorso che gioca con freschezza e sapidità che si prendono a sportellate, dimostrandosi goloso pur lungi dall’essere pronto.
LACRYMA CHRISTI DEL VESUVIO BIANCO DOC “VIGNA DEL VULCANO” 2016: da una grande annata arrivano arrembanti Idrocarburi ad aprire un sabba di albicocche e susine, dolcezze di camomilla a contrasto di erbe a mare, freschezze di mandarino, terziari balsamici…
In bocca il ritmante alternarsi di picchi di acidità e dolci larghezze lo rendono simile ad un Riesling.
E la profonda sapidità è ombra di un vulcano che sbuffa sulfureo.
LACRYMA CHRISTI DEL VESUVIO BIANCO DOC “VIGNA DEL VULCANO” 2014: altri due anni di vetro ne stondano qualche altro spigolo e lo rendono più pronto.
Il naso aggiunge presenza agli idrocarburi e si arricchisce delle ginestre dei pendii lavici e dei profumi balsamici della macchia mediterranea.
Sorso energico, acidità ben dosata e finale piacevolmente amaricante.
LACRYMA CHRISTI DEL VESUVIO BIANCO DOC “VIGNA DEL VULCANO” 2008: come fosse la naturale evoluzione della 2016, alla freschezza di una Falanghina che si adorna di erbe aromatiche (salvia in primis) si aggiunge la gentilezza fruttata della Coda di Volpe.
Ed in una atmosfera che rimanda a Totò nei Campi Flegrei, il sorso aiuta a sviscerare la potenza del vulcano, a percepire una sapidità che è quasi piccante.
LACRYMA CHRISTI DEL VESUVIO BIANCO DOC “VIGNA DEL VULCANO” 2002: unico di questa meravigliosa serie ad aver riposato per 4 mesi in tonneau nuovi, dimostra esuberanza e saggezza.
S’approccia dolce di frutta gialla e pasticceria e, finta l’affondo con un bel gioco di piedi minerale e colpisce con un gancio di scorza d’agrume.
In bocca entra a gamba tesa con prepotente freschezza per poi dimostrare grasse ampiezze di vaniglia e cioccolato e chiudere salino.
Una doverosa menzione alle etichette che rendono omaggio a Giacomo Balla ed a quell’avanguardismo che, inteso come arte del movimento, trova nei vini un bel parallelo.
ANTICA MASSERIA VENDITTI
Siamo a Castelvenere, nel centro del Sannio.
Una zona in cui la nascita della DOC nel 1973 ed un disciplinare redatto un po’ “con i piedi” hanno rischiato di far scomparire gran parte delle varietà storiche.
Alla guida di un’Azienda che affonda le radici nel lontano 1525 c’è oggi Nicola Venditti che, seguendo un po’ le orme di quel Peppe di cui leggerete più avanti, ha inserito all’interno di quella che lui ha rinominato “ISOLA DI CULTURA DEL VINO”, anche un “vigneto didattico” di 10 filari in cui sono state reimpiantate 20 varietà autoctone.
FALANGHINA DEL SANNIO DOP “VANDARI” 2019: in quel di Vandari San Barbato (mmmh, che abbia a che fare pure lui con quel “barbetta” di cui leggerete poi?) convertì i Longobardi e qui, oggi, ‘sta Falanghina cerca di convincerci di quell’eleganza cui non vorremmo credere.
Un naso dritto, che si propone verticale con frutta (bianca e gialla), vegetalità aromatiche di salvia, timo e coriandolo, una scorzetta di cedro e profonda mineralità.
Al sorso regala contrasti tra morbidezze e verticalità fresco-sapide ed un finale di profondi rimandi vegetali.
Direi appena pronto, quindi…da riassaggiare più in là.
FALANGHINA DEL SANNIO DOP “ASSENZA” 2019: intanto ci sarebbe da fare un lungo discorso sull’”emozionale” nome di fantasia, un “ASSENZA” che…lascio a Voi scoprire cosa celi (chè mica posso dirVi tutto io).
E qui, dove l’unica variabile rispetto al precedente è l’assenza di solfiti aggiunti, rimanete a bocca aperta.
Un vino completamente differente!
Là dove erano altezza, qui sono orizzonti, dove erano lame affilate, sono carezze.
La frutta è quella a guscio e, della mela (Golden) è rimasta la buccia, gialla come quel soffio di ananas che cozza un po’ con le mie convinzioni sui lieviti “indigeni”.
Un cespuglio di ginestra, un quid di mandorla ed il giusto di erbe aromatiche per chiudere.
Sorso coerente nello sciorinare con ordine quanto percepito all’olfatto, forse ha spalle più “strette” rispetto a “VANDARI”, ma si becca comunque il mio premio “SORPRESA” per essere riuscito a meravigliarmi.
SANNIO DOP BARBERA “BARBETTA” 2019: è Barbera del Sannio ma dietro il nome di “BARBETTA” c’è una storia che vale la pena raccontare (anzi, se Vi dovesse capitare, fatevela raccontare da Nicola).
Tutto comincia là dove la fillossera aveva quasi messo la scritta fine.
Tra le tante varietà reimpiantate su piede americano, quell’”Uva di Venditti” sembrava essere la “più meglio”.
Ci sta poi che Peppe, l’antenato di Nicola, fosse soprannominato “Barbetta” e, da lì ad affibbiare lo stesso soprannome all’uva, il passo fu breve.
Furono poi scaramucce campanilistiche tra la Barbera piantata da quelle parti ed il vitigno locale e fu passione tenace a guidare la scelta di ANTICA MASSERIA VENDITTI di replicare le gemme del campo sperimentale di Castelvenere innestandole su selvatico alla fine degli anni ’60.
L’oggi è quello di un CRU.
Al naso sono rosa canina e viole, ma pure prugne e more, tocchi vegetali, note balsamiche, un’idea di salamoia.
Sorso deciso, di piemontese verticalità, che propone una freschezza inarrestabile.
Una bella espressione del Territorio che, anche in questo caso, avrebbe bisogno di più bottiglia ma che voglia ed amici Vi faranno stappare subito.
SANNIO DOP AGLIANICO “MARRAIOLI” 2017: da un altro CRU (uno dei vigneti più vecchi, reimpiantato negli anni ’80) un Aglianico che propone frutta rossa matura, mazzi di rose ed un mazzetto completo di erbe aromatiche.
Il sorso mette in evidenza una inattesa freschezza (merito dei ripetuti travasi), avvolgente, dai tannini vispi ma ben tessuti che nell’allungo ripropone i toni della frutta matura.
SANNIO DOP ROSSO “BOSCO CALDAIA” RISERVA 2017: pure dietro a quest’altro CRU c’è un’altra storia complicata, di boschi, cavallette e recupero.
Aglianico, Piedirosso e Montepulciano vinificati così come sono piantati in vigna.
Del bosco che era serba i piccoli frutti, le viole ingentiliscono, le spezie intrigano, il tabacco dice del dopo cena.
E l’assaggio, austero ma di birbante freschezza, dimostra quanto il Piedirosso riesca a far spuntare un sorriso sul “grugno” di Montepulciano ed Aglianico.
L’assenza di legno aiuta a dire di antico e moderno al contempo.
Un sorso gioioso, fatto di intarsi di spezie nel frutto, sostenuto dai necessari tannini e dalla spinta sapida.
Un sorso per formaggi stagionati, ma anche solo per stare davanti al camino.
A proposito: le etichette (alcune) sono BELLISSIME perchè…io lo so ma non lo dico!
ED ORA?
Beh, ora mi segno in agenda l’appuntamento 2024 in modo da potermi organizzare sin da subito e “non fare prigionieri” e poi via di corsa verso un altro Evento che…
…Che sta dall’altra parte di ‘sta caotica città, cui non volevo mancare e di cui leggerete nel prossimo articolo.
Intanto GRAZIE a PROPOSTA VINI per avermi ospitato ed a quei Produttori che m’hanno concesso un po’ del loro tempo (con gli altri mi scuso dandogli appuntamento al prossimo anno).