UN PO’ DI STORIA
C’è del nuovo a Prepotto.
CA’ LOVISOTTO è la “scommessa” della Famiglia LOVISOTTO.
Un “azzardo” nato dall’idea di creare un sito dove poter stare bene, vivendo in armonia con la natura, indipendentemente dal profitto.
A Prepotto, produrre Vino ne è stata la logica conseguenza, e la struttura in via di realizzazione consentirà a quanti vorranno approfittarne, di godere del bello e del buono.
Luigi Lovisotto, il padre, dopo la Scuola Enologica di Conegliano, ha lavorato per importanti aziende vitivinicole del Veneto ed è approdato in Friuli per seguire per 25 anni l’apostrofo agricolo (Tenuta Villabruna) della famiglia Zoppas che ha creduto al mondo dell’agricoltura fin dal dopoguerra.
Qui promuove e sviluppa progetti di recupero ambientale con percorsi di qualità e certificazioni, ed ottiene importanti riconoscimenti tra cui premio internazionale “Belleuropa award 2010“ al Parlamento Europeo.
Poi insieme al resto della famiglia…decide di guardare al futuro.
Il 2015 è l’anno dell’acquisizione di un importante sito sulle foci dell’Isonzo, quella Punta Sdobba che è Riserva Naturale e da dove lo sguardo si spinge fino a Miramare ed a Trieste.
Da lì al pensare ad un “collegamento” enologico, c’è voluto poco.
Più lungo il trovare un sito adatto.
Ci vogliono 3 anni per scegliere “Casali Guardafuoco” in un Prepotto che non è nuovo alle attenzioni di chi viene da fuori regione: è la terra dei Colli Orientali del Friuli.
E c’è voluta (e ci vuole ancora) tenacia e duro lavoro per strappare gli edifici ed i vecchi vigneti ad una Natura che, seguendo il proprio corso, s’era riappropriata di quanto dato in prestito all’uomo.
Sono stati necessari interventi mirati (e pesanti) per ricondurre nuovamente alla ragione l’importante parte boschiva (metà dei 7ha totali dell’Azienda), per canalizzare nuovamente le acque meteoriche…
Nel 2018, iniziando ad impiantare i nuovi vigneti, si è scelto di non dimenticare il passato e dare importanza ad autoctoni come Ribolla Gialla, Schioppettino e Pignolo.
3.5ha protetti da un bosco che ritroverete anche nei vini e baciati dal sole fino al primo pomeriggio.
BIO da subito, minimi interventi, grande attenzione all’ambiente, minime produzioni (obiettivo max 15.000 bottiglie) ed affinamenti in legno e…anfora.
Scelta azzardata?
Sicuramente “meditata”.
Un modo per unire l’oggi con il passato ed andare verso il futuro.
Dei vini leggerete sotto, qui dico la mia su un packaging che…vabbè: non è che mi piaccia troppo.
Si, mi piace molto il logo aziendale, con quell’impronta digitale sul pampino, a sottolineare la simbiosi con la natura, ma le etichette…avrei osato di più (soprattutto su quella dello Schioppettino).
Trovo inoltre sia necessario evidenziare bene le differenze tra quanto prodotto in anfora e quanto in legno (chè non mi piace dover scorrere tutto il retro etichetta per scoprirlo).
Comunque, al di là di questo, mi sento di spendere ancora qualche parola per lodare Luigi che con i suoi propositi ha sposato le proposte e le idee giovani di Emmanuele e Francesca guardando al futuro delle nipotine.
Non è facile imbattersi in Produttori che sentano forte il bisogno di “matchare” Natura, Vino e Cultura per offrire, al di là di quella degustativa, un’esperienza che coinvolga il corpo e lo spirito.
CA’ LOVISOTTO è appena nata, sta crescendo e…diventerà adulta.
Tenetela d’occhio, ne vale la pena.
I VINI
FRIULI COLLI ORIENTALI DOC RIBOLLA GIALLA “ANFORA” 2021: per me resta impossibile scindere la Ribolla Gialla dall’immagine di una collina
Una collina che dovrebbe rimandarmi grida di bambini e fiatone, ma che qui è calore: quello del sole (sarà che il caldo mi insegue), quello delle messi appena trebbiate.
Ci vorrebbe la slitta, quella di legno della mia infanzia: un po’ di sapone da bucato come sciolina e giù a rotta di collo.
Del Collio conserva la mineralità, quell’idea di mare antico che ancora fa sentire la sua risacca, per il resto la mente corre ad un altro bianco che con il mare e le colline ha un bellissimo rapporto: il Trebbiano d’Abruzzo.
E quella sua intenzione pasticcera, di cera d’api e frutta secca…il grip del tannino che prima frena e poi accelera il sorso…la verticalità delle montagne sullo sfondo e l’idea semplice del mare all’orizzonte.
FRIULI COLLI ORIENTALI DOC RIBOLLA GIALLA “LEGNO” 2021: stenta un po’ ad aprirsi…
Poi lo fa e, come il Genio della Disney, esce dall’anfora (anzichè dalla lampada).
Nel breve l’olfatto si apre su un bouquet di albicocca disidratata, polpa e buccia di mela golden farinosa e matura, camomilla e ginestra.
Poi, pianopiano, concede un filo di agrume candito, un quid di tabacco dolce ed un’idea di mentolato.
Assaggio di verticale freschezza e sapidità che cerca di tenere il passo anche se con qualche affanno, denso, sostanzioso.
Tagliente d’agrume ed amaricante di malva, non lesina complessi ricordi di Gubana e s’arricchisce di una sensazione tattile di cipria.
Troppo freddo non va bene, vuole temperatura “da tavola”.
FRIULI COLLI ORIENTALI VINO ROSSO “MR. LOVE” (SCHIOPPETTINO) 2021: sullo Schioppettino confesso di essere ancora “confuso”.
Ho assaggiato entrambe le versioni, “stressandole” a modo mio.
Sarà “di Prepotto” (perchè lo sarà), ma per ora non lo è.
Non lo è per “disciplinare” e non lo è per il mio modo di intenderlo.
Ma attenzione: questo non è assolutamente un problema anzi…
È una interpretazione (anzi, due) differente, moderna con, nella versione anfora, un quid di antico.
E non farò una descrizione del tutto separata delle due interpretazioni, perchè all’una ed all’altra mi sembra mancare qualcosa (oppure esserci qualcosa di extra).
Rispetto alla Ribolla Gialla, il tappo Stelvin contribuisce maggiormente a mantenere inalterate le caratteristiche “birbanti” del vitigno e, rispetto alla Ribolla, le differenze tra legno e terracotta sono decisamente più avvertibili.
Decisamente più “nature” la versione anfora, che beneficia di una terracotta che scambia ossigeno senza cedere nulla, quasi fosse un acciaio poroso.
Nella declinazione in legno, già al naso sembra esserci più “ciccia”.
La trama tannica è più spigolosa ed incisiva ed c’è una pronunciata nota di arancio tarocco messa lì, ad allungare un sorso già brillante.
In entrambe le versioni, chi s’aspetta il pepe del rotundone dovrà prima aprire il sipario di quei chiodi di garofano che, insieme ad una vaniglia avvertibile più in bocca che al naso, raccontano una corte speziata fatta di dolcezze orientaleggianti.
In cantina ne ho assaggiato un campione “vetroresina” trovandolo più “strong” e masticabile nonostante quella sua timidezza nel mostrare le caratteristiche del vitigno, quasi se ne vergognasse.
Aveva un corredo speziato ancora più mitigato ma comunicava stessa freschezza ed un’atmosfera più scura.
Forse (ma forse) farne rifermentare una parte con il resto della massa potrebbe aggiungere sapidità e sostanza…
Nel complesso ambedue le versioni sono giovani (forse troppo) e giovanili, dimostrano che alle spalle c’è una filosofia produttiva ben precisa e che il tempo farà il suo lavoro.
C’è spazio per crescere e…cresceranno.
Io ho voglia di riassaggiarli, anzi…ne ho ancora una bottiglia “legno” e me la apro la prossima settimana per vedere cosa è successo in questi mesi (ed aspetto il giudizio di un amico Produttore toscano sulla versione affinata in quelle anfore che sono le stesse che utilizza per i sui vini).