IL COSA ED IL DOVE
Nella solita ed elegante location dell’Hotel Villa Pamphili di Roma, lo scorso 23 Ottobre è andata in onda la XI Edizione di “LIFE OF WINE“, prestigioso Evento organizzato da STUDIO UMAMI e Roberta Perna con la collaborazione di Maurizio Valeriani.
Nel sabba di manifestazioni enoiche di questo periodo post-COVID LIFE OF WINE si propone come assolutamente unica ed irrinunciabile.
Una giornata da dedicare al Vino ed al Tempo, quello trascorso dal primo dentro la bottiglia e quello trascorso da noi, nell’attesa di aprirla, cercando di sopravvivere o quanto meno adattarci a rivoluzioni sociali e del gusto.
Impossibile davvero scegliere tra i 73 Produttori presenti ed ancor meno assaggiare le oltre 200 etichette.
Quest’anno ho dunque scelto di fare un mix tra vecchie conoscenze, nuove proposte e casualità indicate dall’occhio curioso cercando di viaggiare quanto più possibile lungo lo stivale italico.
Ed è stata una giornata vissuta intensamente, guardando gli occhi del Produttore brillare mentre mi racconta del suo lavoro e cercando di ricordare cosa mi fosse accaduto in quell’annata per contestualizzare l’emozione dell’assaggio.
È stata una giornata bellissima!
Peccato solo che sia stata SOLO una!
Comunque date una letta alle poche parole che, come sempre, mi sento in dovere di dedicare ad ogni vino assaggiato (se non altro per la faticaccia che ho fatto a scriverle) e, se quest’anno non c’eravate, mettete sin da ora in agenda l’Edizione 2023.
Buona lettura.
GLI ASSAGGI
VALLE D’AOSTA
PIANTAGROSSA
Meno di cinque ettari tra Pont Saint Martin e Donnas ed un nome che dimostra quanto quell’ippocastano che non è più, sia “tatuato” nel cuore della Famiglia Zoppo Ronzero.
VALLEÉ D’AOSTE DOC NEBBIOLO “396” 2020: una dedica all’età di quell’ippocastano che era e che adesso è memoria ed affetto.
Succoso mix di piccoli frutti rossi e mazzi di violette, fa un tutt’uno di naso e bocca.
Elegante, fresco e “facile”.
Con lui, la classica merenda valdostana a base di fontina e salame rasenta la perfezione.
VALLEÉ D’AOSTE DOC NEBBIOLO “DESSUS” 2020: qui si vuole omaggiare quanti debbano arrivare fin “lassù” per quello che sarà il nostro piacere.
L’olfatto racconta di dolcezze di ciliegie e frutti di rovo, del dolce-amaro dei chiodi di garofano, dell’amaricante delle nocciole fresche.
Poi lontani echi balsamici ad introdurre un sorso fresco, succoso, delicato, scorrevole, ben giocato sulla carta del “sarà”.
2019: una 2020 amplificata a transistor, dettagliata.
Visciole e mirtilli, le more con pure i rovi, amaritudini di rabarbaro, balsamicità di tabacco mentolato, una manciata di terra bagnata ed un gentile mazzetto di viole.
Fresco e sapido gioca la sua carta migliore con un infinito allungo balsamico.
2018: una annata partita male, le piogge in primavera, poi il caldo e la peronospora però…l’hanno portata a casa!
Confettura di more, corteccia e terra umida, un bouquet di fiori secchi ed un tocco di liquirizia.
Sorso dalla muscolatura definita, agile, dinamico, succoso, ben sostenuto da tannini squillanti ed importante sapidità fino all’amaricante finale.
Si becca il mio premio “STUPISCI”.
2015: prima(?) annata
Prugne nere e ciliegie sotto spirito sono l’incipit, poi è terra umida (ed anche, passatemi il termine, un pochino di pollaio) ed ematiche ferrosità
Freschissimo e dai tannini ancora belli svegli chiude con una nota amaricante tutta da sfogliare.
ALTO ADIGE
PLONER
5ha, un piccolo ma prezioso gioiello che, in quel di Merano, decide di dimenticare le mele e coltivare la vite.
SÜDTIROL – ALTO ADIGE DOC SAUVIGNON “EXCLUSIV” 2018: il naso è un sabba di profumi: le amaritudini varietali di pomodoro e peperone freschissimi, poi quelle del timo, della maggiorana e della mentuccia.
Poi l’incedere della frutta esotica fino al tripudio finale di una pesca che riempie la sala (nonostante il borotalco di qualche “influencer” che c’avrebbe bisogno di essere “catechizzata”).
L’assaggio è parimenti dirompente, freschezze alpine e porfiriche sapidità perfettamente bilanciate ed un lunghissimo finale balsamico.
Vince il mio premio “MAMMAMIA”!
2019: meno vegetale del precedente sterza sul frutto tropicale ed il pompelmo maturo senza dimenticarsi di una nota di sambuco.
Meno fresco e più sapido, sembra strizzare l’occhio ai cugini francesi.
2020: molto ricco il naso dove, se spicca su tutto la foglia di pomodoro, non si possono dimenticare i fiori, le erbe aromatiche ed un ananas di cui avrei fatto a meno.
L’assaggio si propone con una vegetalità spigolosa su cui però non si fa fatica a sorvolare quando si affacciano, timidi, i ricordi olfattivi e ci si abbandona alla potente sapidità.
Quasi pronto, ma davvero “QUASI”.
2021: è subito il sambuco a voler dire la sua, poi c’è un po’ di erba verde ed un’idea di idrocarburi, ma direi che, con gli agrumi ballerini di fila, sia il fieno quello che, alla fine, guida le danze.
Assaggio di straordinaria sapidità ma che propone un groviglio di descrittori che si fatica a dirimere.
A questo mi tocca dargli il mio premio “PECCATO” per essere già sul mercato.
Aspettatelo, secondo me c’ha davvero la stoffa del campione!
SÜDTIROL – ALTO ADIGE DOC PINOT NERO “EXCLUSIV” RISERVA 2019: un naso dedicato alla frutta (lampone e ciliegia) con una piccantezza di fondo che mi ricorda il kren.
All’assaggio, di spiccata sapidità e dai tannini di gran garbo, s’aggiunge un quid di cioccolato.
Pur atteggiandosi a “pronto”, direi che è ben più che giovane, anzi…sembra essere l’ecografia di un Pinot Nero.
2018: direi molto simile alla 2019 con un plus di balsamicità.
Ma qui, davvero, ci vuole tantatanta pazienza e altro vino per ingannare la lunga attesa che abbiamo davanti prima di poterne godere appieno.
Calore, balsamicità e tanto ancora.
Lo aspetto tra 2 o 3 anni.
2017: tante più spezie e, forse, alcol, freschezza e cioccolato all’assaggio (non mi ricordo le annate, è papà che se le ricorda…è fighissimo)
Al naso mette subito le cose in chiaro: il bosco ed i suoi piccoli frutti sono i protagonisti, poi una nota di assenzio ed un graffio di fave di cacao.
Il sorso è leggero ed elegante, ben centrato sul frutto croccante e sostenuto da tannini davvero vellutati.
2016: il Pinot Nero è come la natura, non ti perdona niente (nè in campagna nè in cantina).
Qui comandano i frutti rossi, le spezie si tengono in scia con i chiodi di garofano ed è la balsamicità a tagliare il traguardo battendo il cassis proprio sul filo di lana.
Elegantissimo il sorso, ricco, sostenuto da un tannino forse più intrigante che affascinante e dotato di un gran bel finale di frutti rossi e pepe nero.
Si becca il mio premio “TANTOTANTO”.
TRENTINO
LETRARI
Si scrive LETRARI ma si legge “storia dell’enologia trentina e della spumantistica della Vallegarina”.
Quest’anno Lucia proponeva quattro annate del suo TRENTO DOC BRUT RISERVA (assemblaggio di 60 parti di Pinot Nero con 40 di Chardonnay) degorgiate tutte, correttamente, dopo 60/70 mesi che differivano dunque solo per la “clausura” in bottiglia.
2006: ad 11 anni dalla sboccatura si evidenzia una interazione tra il tappo ed il vino senza che questa, comunque, provochi alcuna problematicità.
Ed è dunque bello sfogliare le pagine di un bouquet che racconta di fiori appassiti, spezie e dolcezze di miele di castagno.
Resta da fare la prova del nove, quella dell’assaggio…
E non c’è alcuna sorpresa, o meglio: è tutta una sorpresa.
Una bolla sorprendentemente viva, strutturata e persistente.
Too old to rock ’n’ roll, too young to die (Cit. Jethro Tull).
Intimista.
2010: un bello sprint di sambuco e fiori bianchi che evolve con filosofica calma su note di crosta di pane e pasticceria (crema e frutta comprese).
La saggezza degli anni ed una freschezza ragazzina in un encomiabile equilibrio.
2013: più aromatica e di spiccata, gessosa, mineralità, aggiunge a quest’ultima voci di frutta fresca e crosta di pane.
Persistenza e fine perlage accompagnano un lungo finale di lime.
2016: regala al naso pasticcerie di agrumi canditi, dolcezze di camomilla, amaritudini di noce ed una graffiante mineralità.
All’assaggio spicca per freschezza rimandando a note di agrumi, erbe aromatiche e delicate tostature.
Beh, considerando quanto assaggiato prima, questo bisognerebbe dimenticarselo in cantina per un bel po’ di tempo ancora.
VENETO
SECONDO MARCO
17ha di Valpolicella, 5 generazioni di viticoltori ed una serie di vini davvero unici (dalla forma di allevamento delle viti all’ultima annusata data al calice ormai vuoto).
AMARONE DELLA VALPOLICELLA DOCG 2010, 2011, 2013.
In etichetta “l’uomo più forte del mondo” non solo alza le due pesantissime “palle”, ma le tiene in armonico equilibrio con una sola mano.
Qui, la parola d’ordine è “PAZIENZA”: tra appassimenti e macerazioni se ne va quasi un anno e poi…poi ci vogliono “GLI” anni, quelli dell’affinamento!
PAZIENZA…
Inizio dall’annata “meno giovane” per non sbattere mignolini contro eventuali spigoli (posto che ce ne siano).
E la 2010 sia apre.
Pianopiano (ma ci sta che abbia bisogno di prendere una boccata d’aria dopo dodic’anni di clausura) propone frutta, spezie e vulcaniche aromaticità.
La 2011 racconta di una annata molto più “stretta” e “chiusa” proponendo, già al naso, un vino decisamente più verticale, con quelle sfumature vegetali, quelle note di fiori secchi e tabacco che poi ritrovi in un assaggio di imponente sapidità e strapiombante freschezza, ricco senza inutili pesantezze.
Modernissimo nel suo essere classico e tradizionale, solo Corvina, Corvinone e Rondinella senza inutili “marmellosità” da Merlot o Cabernet.
La 2013, infine, con un plus di Rondinella, assomiglia molto più alla precedente che alla 2010, ricco di vegetalità che del bosco comunicano bacche, cortecce e radici, ferroso, officinale, grafitico.
Coerente, elegante, scorrevole, lungo, l’assaggio di un vino che, nel suo essere una “ecografia morfologica” di quello che sarà un grande Amarone, si becca il mio personalissimo premio “COTIDIE”.
TOSCANA
TERENZUOLA
20ha su quei Colli di Luni che sono ancora Toscana ma quasi Liguria.
COLLI DI LUNI DOC VERMENTINO “FOSSO DI CORSANO” 2021: il naso non può nascondere la verve minerale e iodata ma riesce comunque a dare spazio alla frutta (anche secca), agli agrumi ed al miele.
Assaggio di coinvolgente freschezza reso più interessante dalle sportellate tra agrumi e sapidità.
2020: spinge l’acceleratore sulla mineralità e la freschezza, della pesca c’è la buccia, dei campi le erbe amare e quelle aromatiche, qualche fiorellino, un po’ di erba limoncella e la scorza del cedro.
In bocca freschezza e sapidità a preciso contrasto di una avvolgente morbidezza.
2018: nel complesso, lo spettro olfattivo non è troppo dissimile da quello dell’annata 2018 ma, perchè c’è un ma, ci dovete aggiungere una bella spinta balsamica e un’atmosfera quasi di idrocarburi.
L’assaggio propone la stessa dicotomia tra la spalla fresco-sapida ed una morbidezza che sfodera qualche colpo segreto rendendolo più intimista.
2017: frutta gialla e fiori di campo per un naso che non lesina dolcezze da giostra di paese e mineralità gessose.
Assaggio carezzevole, morbido, broccato ma senza inutili passamanerie, con la lama fresco-sapida che sembra aver perso un po’ il filo a tutto favore di un impatto glicerico che lo rende rotondo e rimanda a miele filante
In una annata “difficile” mi permetto di definirlo “TANTA ROBA”!
COSTA TOSCANA IGT VERMENTINO E TREBBIANO “PERMANO” 2020: frutta gialla giusto quel tanto che serve in un universo di erbe aromatiche graffiato da vene gessose ed ingentilito da dolcezze di fiori d’acacia e camomilla.
Assaggio marmoreo, scolpito, quasi michelangiolesco.
Questo vino, frutto di viti che affondano il “piede franco” nel marmo di Carrara, si becca senza se e senza ma il mio premio “BELLODECASA”.
TOSCANA IGT VERMENTINO NERO 2021: lamponi e ciliegie, qualche erbacea aromaticità e piccantezze di spezie.
Assaggio fresco e vivace, ben supportato da tannini brillanti ma ben gestiti.
COSTA TOSCANA IGT VERMENTINO NERO “FORMA ALTA” 2017: 95% Vermentino Nero ed il saldo di Massaretta, cemento vetrificato e botte grande.
Complici probabilmente la temperatura, il fatto che fosse stato appena stappato, e forse che io fossi imperdonabilmente distratto, la prima cosa che m’ha colpito è stata una nota di lacca un po’ sgraziata.
Poi sono stato preso da un vortice e non c’ho capito più niente.
M’è sembrato quasi che si sia voluto dare un titolo cavalleresco al Vermentino Nero, renderlo nobile e strapparlo a quell’idea di vino fresco e beverino.
Il risultato è un vino che m’è sembrato vivere con i piedi in due staffe: principe e contadino, possente e minimalista.
Forse, ma davvero forse, il “quid”, la marcia in più, sta in quello sprint che, a questo punto, credo sia da attribuire a quel 5% di Massaretta.
Vabbè, non l’ho capito…mi toccherà riassaggiarlo.
PIEVE DE PITTI
128ha che spaziano dai boschi ai seminativi passando per uliveti e vigne a Terricciola, in terra di Pisa.
Un nome che racconta un pezzo di storia fiorentina ed un luogo che di quanto c’è stato tra Pisani e Fiorentini sa un sacco di cose.
Prima vendemmia “privata” nel 2001
TOSCANA IGT “TRIBIANA” 2019: un Trebbiano “tardivo” legato a filo doppio con il Territorio ed il numero 3.
3 terreni, 3 vigneti e 3 vinificazioni differenti (acciaio, Slavonia e Borgogna)
Banale sarebbe dire del giallo di frutti e fiori, meglio raccontare di balsamicità tabaccose e mentolate che dal naso passano al palato tra morbidezze e bella spinta minerale.
Un vino “da aspettare”.
Nella 2012 trovo un bell’esempio dello stile di Caterina (Gargari).
Quel suo accennare ad idrocarburi e sfumature fumé crea una atmosfera intrigante attorno ai fiori gialli, alla mela cotogna matura ed a quella nota di miele che…
Assaggio dritto che propone un fruttato complesso e candito supportato da una brillante nota tannica e da una ben più che accennata nota salina fino ad un finale in crescendo di spezie.
La 2010 è frutto di una vinificazione “old style” nella quale tutti e tre i vigneti, mancando di una propria identità, sono stati lavorati insieme e regala un panorama decisamente grandangolare di frutta disidratata con l’albicocca a dirigere l’orchestra e le spezie dolci a fare coro fino ad un assaggio di dolcezze pasticcere e candite reso più vivace dalla sottile speziatura.
TOSCANA IGT SYRAH “SCOPAIOLO” 2019: sabbia e non argilla, eleganza e non potenza per un Syrah giocato sul piccolo frutto e reso più vispo da una mai aggressiva vegetalità.
Volutamente “bischero” e pronto.
CHIANTI SUPERIORE DOCG “CERRETELLO” 2016 MAGNUM: cemento ed un 50% di tonneaux per questo Chianti fatto con uve provenienti da 2 vigneti di almeno 20 anni situati rispettivamente fronte mare e fronte fiume, c’ha un naso “Sangiovesissimo” che propone subito ciliegia matura, un quid di amarena (pure in sciroppo) ed accenni agrumati di arancia rossa.
L’assaggio è decisamente succoso con richiami di spezie dolci.
Peccato che l’olfatto sia appena “sporcato” da una leggerissima nota di lacca.
CHIANTI SUPERIORE DOCG (e TOSCANA IGT) “MORO DI PAVA“: l’annata 2008 propone un Sangiovese “old school”, più evoluto ma di inusuale dinamicità pugilistica che alterna jab di frutta a diretti di spigolosa vegetalità.
Direi essere un vino di “stacco”.
Nella 2001 era ancora un IGT Toscana con un 5% di Merlot e la barrique.
Un supertuscan di quelli di una volta che, con 20 anni sulle spalle, si lascia bere davvero bene traviandoti con quella sua atmosfera boisé.
Qui, davvero, nulla di sbagliato a parte il fatto di essere, probabilmente, un vino da bere da solo (ma non da soli).
TOSCANA IGT PETIT VERDOT “SOLATJO” 2019: un Petit Verdot rinchiuso per 48 mesi nelle barrique vecchie dell’IGT 2001.
Il rospo in etichetta è quello da ingoiare nel momento in cui ci si trovi di fronte un vino dalla inaspettata bevibilità.
C’ha quel fruttino nero che…e poi è così ordinato, con i suoi descrittori perfettamente incasellati…
Un vino “speciale”!
A proposito: a Caterina va, intanto, il mio premio “POP” per quella maglietta che…mannaggia a me che mi sono scordato di fotografarla e poi un sentito ringraziamento per avermi raccontato quell’aneddoto che riguarda suo padre, Tachis e D’Attoma (che ho immediatamente immaginato essere “i ragazzi di Via Panisperna” del vino).
IL MOLINACCIO
4h per un mix di tradizione e modernità, cemento, acciaio, botti austriache in quel di Cervognano, lungo il Fiume Salcheto.
ROSSO DI MONTEPULCIANO DOC “IL GOLO” 2021: Sangiovese con il plus di un 5% di Cannonau trovato regalano un vino dinamico, birbante, saporito, ferroso, goloso, godereccio
Il rosso da osteria, quello che c’ha il suo perchè!
VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO DOCG “LA SPINOSA” 2017: botte grande da 25hl per un Sangiovese dal naso classico di ciliegia impreziosito da richiami di bosco umido e foglie cadenti.
Assaggio che non denota alcuna voglia di strafare, corretto, progressivo, persistente.
VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO DOCG “LA POIANA” RISERVA 2016: un CRU che spicca per croccantezza il frutto rosso, tra dolcezze di fragole ed aspro melograno.
Scorrevolissimo l’assaggio che rimanda a piccantezze fino all’ultimo secondo del lunghissimo finale.
VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO “LA DUEMILADICIASSETTE” RISERVA 2017: vinificato con il raspo per abbassare il volume della voce femminile del Sangiovese, aggiunge alla confettura di lamponi profumi di viole e lavanda, cassis e balsamicità di alloro.
Assaggio maschio, di stimolante piccantezza e che, in progressione, si rivela di particolare eleganza.
Dedicato a quelli che: “la duemiladiciassette è stata un’annata difficile”.
UMBRIA
ANTONELLI SAN MARCO
175ha (50 vitati e 10 di uliveto) nel cuore della DOCG Montefalco ed un bel pezzo della sua storia.
SAGRANTINO DI MONTEFALCO DOCG 2005: un olfatto decisamente orientato a prugna e confettura d’amarena ma che si “distrae” spesso e volentieri e va ad inseguire bosco umido, cuoio, tabacco, liquirizia, tostature di cacao, speziature dolci-amare, balsamicità di menta ed alloro.
Il sorso è virile, fresco, tannico, una cometa con il corpo di frutta e spezie ed una lunghissima coda in cui sono nebulizzate liquirizia, pepe, cacao…
Sarà che so’ anziano, ma gli ammollo il mio premio “OLD SCHOOL”.
2006: il naso è un’emozione di petali di rosa, un mix di piccoli frutti rossi e neri ed un continuo rincorrersi di ginepro, tabacco, liquirizia, cannella, cuoio, cioccolato, leggere piccantezze, il giusto di mentolato ed una vaniglia tutt’altro che sgarbata.
Un assaggio che, magari mi sbaglio, trovo birbante ancor prima che elegante, con quei tannini vispi che scandiscono il sorso e ben sorreggono i ricordi di frutta per tutto il lunghissimo finale.
2016: 10 anni in più di vigna per un naso tutto tipicità di prugne e more, di quelle vegetalità che stanno al limitare del bosco, quelle di humus e felci, di tabacco…
Balsamica l’atmosfera che respiri prima di quel sorso che..riempie: di calore e tannini fittifitti.
10 anni in più di vigna, più attenzione alla maturazione fenolica.
Davvero appena pronto
SAGRANTINO DI MONTEFALCO DOCG PASSITO 2006: il viaggio alle radici di questo vino parte da una ciliegia sotto spirito circondata da more e prugne secche.
E poi i fiori, rossi ed appassiti, ed una atmosfera decisamente eterea.
L’assaggio è muscolare ma affatto sgarbato, fondato sulla meraviglia suscitata dal perfetto equilibrio tra le dolcezze e la fittissima trama tannica.
Emozionante.
MARCHE
SANTA BARBARA
45ha vicino Senigallia per un’Azienda che, nella semplicità del nome, nasconde tanta storia.
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO DOC “LE VAGLIE”: dieci anni tra le tre annate in degustazione di un vino che, anni fa, mi colpì con le differenti colorazioni dell’etichetta.
Anche qui inizio dalla più distante, una 2005 che al naso si propone con una ampiezza quasi da vino rosso piuttosto che presentarsi con le verticalità del Verdicchio.
Una collezione di frutta secca completa di grassezze ed amaritudini accompagna per mano soffi di sambuco, succosità di pesca bianca ed esemplare mineralità.
L’assaggio è decisamente più congruo al vitigno anche se tutti i descrittori sembrano fondersi come in una strettoia che ne amplifica la velocità e ne confonde i confini.
La 2010 è esemplare!
Frutto di una GRANDE annata è un sontuoso mix di frutta (anche candita), scorze d’agrumi, erbe aromatiche, fiori di campo e ginestre, erbe aromatiche.
Grandezza ed eleganza senza inutili opulenze in un sorso di paradigmatica rispondenza gusto-olfattiva.
Freschezze appenniniche e sapidità adriatiche tenute insieme dall’abbraccio di un legno che aggiunge grazia ed un alluuuuungo di pasta di mandorle.
Vegetalità è la parola d’ordine per una 2015 che racconta verdi di erbe di campo, erba medica, piante officinali, frutta secca (ma ancora NON secca) ed un quid di sambuco.
Fresco d’agrumi e di brezze, propone un assaggio più sbarazzino ben centrato sulle note amaricanti di mandorla e sambuco.
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOCG CLASSICO SUPERIORE “STEFANO ANTONUCCI”: solita partenza “dal passato” per una 2011 che, di primo acchito, sembra essere addirittura più fresco della 2015 assaggiata poco fa.
La frutta procede a scatti tra le crepe di una mineralità profonda ricavandosi il proprio spazio tra tostature di legni pregiati e tabacchi.
Assaggio di traviante scorrevolezza, un sorso tira l’altro, il primo per l’appenninica freschezza, il secondo per la verve adriaticamente sapida, il terzo per…per il gusto di berne ancora.
La 2012 c’ha un naso quasi aromatico ma centratissimo su un cestone di frutta che, attorno al pompelmo, mette frutta gialla, qualcosa di tropicale, qualcosa di candito, qualcosa di etereo, un tocco di spezie dolci governato dalla vaniglia.
Particolarmente avvolgente il sorso, forse frutto di una annata che antepone morbidezze a verticalità.
Avvolgente ma tutt’altro che intimista.
2013 si legge, già al naso, “equilibrio”.
La freschezza dell’annata gli regalano una bella dinamicità; passa così, agile, dalla frutta a vegetalità non troppo complesse, di orto e s’allunga su mandorle fresche.
L’assaggio è altrettanto brillante e di didattica rispondenza con un plus regalato dal legno in funzione di “legante”.
ABRUZZO
FARAONE
A Giulianova, nel 1983, nasceva il Metodo Classico “made in Abruzzo”, ma Faraone è cent’anni che scrive un pezzo di storia del vino abruzzese, dallo sfuso di inizio secolo alle prime bottiglie degli anni ’70.
TREBBIANO D’ABRUZZO DOC “LE VIGNE” 2021: Trebbiano Teramano alias Passerina che, in questa annata, è un ragazzino che deve ancora darsi una regolata.
Al naso fa un po’ di pasticci mischiando fiori bianchi a pera e susina.
In bocca entra fresco spingendo sulla frutta e comunica una mineralità che dovrete avere la pazienza di aspettare.
La 2019 è decisamente più pronta, floreale di prati appenninici e camomilla che dominano ricordi d’agrume ed erbe aromatiche.
Assaggio che sterza brusco sulla sapidità lasciando alle erbe aromatiche il compito di rendere amaricante il finale.
2017: annata difficile, tagliente, sapido, tannico più fresco che sapido
Annata complicata: un gelido inverno, una torrida estate…
Il naso, decisamente più “caldo” e più “Trebbiano style” è tanta frutta gialla matura (la pesca su tutti, anche candita, e poi la susina gialla), un’atmosfera di messi al sole ed un lontano echeggiare di sambuco e, forse, idrocarburi.
L’assaggio è grasso e dominato dalla freschezza di un Gran Sasso che schiaccia la pur importante adriatica sapidità.
Un vino gastronomico.
MONTEPULCIANO COLLINE TERAMANE DOCG “SANTA MARIA DELL’ARCO” 2015: praticamente l’annata in commercio.
Il naso sembra una selva di cespugli vista mare, mirto, ginepro.
Poi la frutta, quella dei rovi, le erbe aromatiche, un tocco di cassis e un allungo di tabacco mentolato.
In bocca è caldo e succoso, materico, carezzevole ma, al contempo, di selvatico impeto, con un bell’equilibrio tra la frutta e la golosa sapidità.
2012: da quelle colline che stanno tra il mare e la montagna, quelle che tutti vedono senza guardare, arriva un vino con quelle amaritudini vegetali che tanto cerco nel vitigno.
C’è la frutta ed anche matura e sotto spirito, per carità, ma è tutto un susseguirsi di richiami di bacche e cespugli di mirto e ginepro, poi china, liquirizia, ruta, un tocco di menta, una manciata di terra umida.
Il sorso è pieno, ricco, caldo pur nella sua verticale freschezza e potente sapidità; un rincorrersi di rimandi a quanto percepito dall’olfatto con un’aggiunta di cioccolato.
E poi la 2007 che, frutto di una annata calda, sembra aver abbassato un pochino le piume e messo la testa a posto.
Composto il naso con un susseguirsi ben scandito di sentori che vanno dalla frutta sotto spirito alle balsamicità di tabacco passando per un pout pourrì di spezie.
Assaggio coerente e pulito con acidità e tannini ben smussati ed una sapidità che dice ancora la sua.
Lo scorso anno mi sono “scappati” per motivi che non Vi dico, ma andrò presto a trovarli, perchè alla mia lunga lista di Aziende abruzzesi manca la spunta sulla loro casella e perchè ho scoperto che nascondono un legame stretto con il mio Friuli.
CERULLI SPINOZZI
Una trentina di ettari vista Gran Sasso su quelle Colline Teramane di, spesso, l’occhio si dimentica ed ha bisogno di naso e bocca per rinfrescarsi la memoria.
COLLI APRUTINI IGT PECORINO “CORTALTO” 2020: tra tanta frutta esotica la pesca si fa spazio a spallate mentre pendii di ginestre stanno a guardare.
Sorso gestito dalla birbante verve salina cui gli agrumi fanno da compari.
Questo va aspettato!
2019: un naso “essenziale” che degli agrumi ha forse più la foglia ed i fiori che il frutto e che, tra graffi di mentuccia, non lesina una nota di idrocarburi.
Assaggio di grande verticalità con freschezza e sapidità (soprattutto) a fare la voce grossa e gli agrumi relegati a mormorii corali.
2015: sottili sfumature di fiori bianchi si intrecciano ad arabeschi di pesca ed agrumi.
Assaggio di buona rispondenza con alternanti ritorni fruttati di pesca, albicocca ed arancia fino a quell’assolo di mandorla che gestisce il finale.
MONTEPULCIANO COLLINE TERAMANE “TORRE MIGLIORI” 2017: un balcone di gerani fioriti, frutti rossi, un quid di confettura di ciliegie, una spruzzata di arancia amara, una spolverata di cacao e poi delicatezze di pepe ed un tocco di balsamicità.
L’assaggio è un’esplosione di freschezza cui fanno corona tannini ancora birbantelli.
Lungo, fruttato e balsamico il finale.
2013: i fiori sono rosa canina e viole, more e mirtilli la frutta, elegante l’atmosfera con rimandi a cuoio e note mentolate.
Sorso bello pieno ma senza inutili opulenze, freschezza in abbondanza, tannini appena educati e finale dedicato ai ritorni fruttati.
2010: qua si rischia di sminuire…
Frutti neri (susine e visciole) sono solo il corollario di un racconto i cui protagonisti sono il bosco (cortecce e radici incluse), erbe aromatiche, spezie e balsamicità in abbondanza.
Sorso equilibrato e di inaspettata dinamicità, con tannini finalmente adeguati e finale ancora dedicato alla frutta.
CAMPANIA
TRAERTE VADIAPERTI
10ha “tra-erte” che stanno nel cuore dell’Irpinia e la mission di raccontare un Territorio attraverso i propri vini.
IRPINIA DOC “TORAMA” 2015: al secolo il terreno calcareo argilloso da cui traggono nutrimento vecchi vigneti di Coda di Volpe.
Un naso per zittire quanti accostano la Coda di Volpe alla neutralità: quell’agrume, quella vegetalità di foglia di pomodoro, quell’idea di idrocarburo…
Assaggio furbo, salino e di tesa verticalita.
Ad oggi, ancora un ragazzino.
Una scommessa all’epoca, una vittoria oggi.
FIANO DI AVELLINO DOCG “AIPIERTI” 2015: un nome mutuato dal toponimo originale di Vadiaperti per un Fiano di Avellino che dimostra tutta la potenza dell’annata.
Al naso, mentuccia, incenso, erbamedica, nocciola, pesca e grafite sono un “nodo infinito”, un loop dal quale si fa fatica ad uscire.
E l’assaggio è un paritetico intreccio succoso, coerente ed aggraziato.
Il naso della 2014 è un pochino meno elegante.
Una gessosa mineralità precede i fiori di tiglio, un po’ d’agrume e parimenti di esotico.
Quest’ultimo diventa un evidente ananas per il palato prima di lasciare spazio alla pera in un contesto di verticale freschezza bastonata dalla sapidità nel lungo finale.
GRECO DI TUFO DOCG “FUORI LIMITE” 2020: una storia di vecchi vigneti, di genomi quasi dimenticati e ripropagati, un Greco di Tufo che sciorina un bouquet di frutta (pesca e nespola), il giallo di ginestre e camomilla, piccantezze di zenzero e pepe, vegetalità di nocciole fresche.
Sorprende, dell’assaggio, il binomio morbidezza-verticalità, mentre nell’allungo rialza la testa la sapidità.
Birbantello!
CALABRIA
CANTINE POLVANERA
120ha a Gioia del Colle una grande attenzione a quel Primitivo così diverso dal cugino di Manduria (ma pure ad altri autoctoni) ed un nome che rende omaggio all’utilizzo che si faceva un tempo della masseria che oggi ospita la cantina.
GIOIA DEL COLLE DOC PRIMITIVO “16” 2008: “16” di nome come di gradazione alcolica.
“Sedicigradi” di piccoli frutti (l’aspro della mora di rovo e la dolcezza di quella di gelso), erbe aromatiche, liquirizia e grafite.
L’assaggio è di grande coerenza e la trama tannica di eccellente fattura.
Lungo, fresco e birbante il finale di un vino che mi aspettavo un pochino “seduto” e che, invece, sembra fatto apposta per essere bevuto!
La 2011 sembra aver voluto correre concentrandosi su toni più scuri: la frutta è marmellata, la spezia noce moscata, il fiore geranio, i graffi di rabarbaro e tabacco.
Ben più rotondo l’assaggio, centrato su tostature di cacao e dall’impatto tannico ben contenuto dalla freschezza.
Tutto dedicato alla frutta (anche sotto spirito) il naso della 2013 che, all’assaggio, racconta di profonda mineralità e succosità da arancia rossa.
2017 si legge “gioventù”.
Ciliegie croccanti, rosmarino e delicate peposità.
Un sorso di precisione già ben delineata ed un finale salino.
MetteteVi comodi: c’è tanto da aspettare!
ED ORA?
Ora è il momento dei ringraziamenti e dei complimenti, dovuti ma soprattutto sentiti, ai Produttori ed agli Organizzatori.
Ed è il momento dell’attesa e dell’impazienza: quella di partecipare alla XII Edizione, quella del 2023.
Nel frattempo io ho preso appunti e…ci sono diversi Produttori che mi vedranno presto in cantina, per curiosità, per piacere e perchè i loro vini meritano un assaggio che sia davvero degno di questo nome.