Ariecchime!
Di nuovo qui a parlare di FILOMUSI GUELFI, di Abruzzo e di identità enologica.
Dopo il Cerasuolo, ci eravamo congedati con la promessa di far visita ad Alessandro in quella cantina che ancora mancava alla mia collezione.
Beh, ci sono andato (Ve ne scriverò compiutamente in altra occasione) ed è stata una “esperienza”.
Ho dubitato del navigatore prima e dei miei occhi poi, quando mi sono trovato di fronte un anonimo portone (nel senso letterale di “porta grande”), ligneo, di tempi che furono, schermo ad un interno che sembra quasi voler celare per pudicizia.
In un mondo di cantine da “rivista patinata”, quella di Alessandro è altra cosa.
Luogo di lavoro, scrigno di tesori, custodia di tradizioni.
Un “piano terra” di spazi riadattati a minimizzare ed ottimizzare ed una rampa di scale che conduce ad un sopra di luce e respiro.
Ma il protagonista di queste righe è il vino e quindi diciamo di lui.
Il Montepulciano ha una Regione dentro, e questo ha in sè lo spirito indomito del compianto Lorenzo e la modestia e la simpatia di Alessandro.
Un vino “scomodo” come lo furono i Marrucini per Roma, come chi l’ha pensato.
Un vino che, inevitabilmente, pone “il resto” sul piatto della bilancia.
In un mondo di etichette, in un mondo di “omologati”, questo vino, con fermezza d’Abruzzo, non invita ma “costringe” a pensare.
È lettera scritta, non e-mail.
Indice, non motore di ricerca.
Penna e quaderno, non tastiera.
Incrocio di sguardi, non emoticon.
Realtà, non “cloud”.
Stravolge schemi e vuole attenzione.
È un vino “sottosopra”, che obbliga il frutto ad una attesa inusuale.
Racconta di pelliccia (con pazienza arriverà anche il cuoio, ma l’impatto è profondamente “animale”).
Cercate la spezia dolce, è lì, dietro tostature di cacao e caffè, celata dietro il bastoncino di liquirizia.
E poi arriva quell’assaggio desiderato, quello che non riesci più controllare.
Ed è un assaggio che sà di storia, tannini materici possiedono le vostre gengive mentre frutti succosi accarezzano il palato e la liquirizia ritorna ad allungare oltre misura quel finale di balsamica freschezza che compensa la morbidezza complessiva.
Dimenticavo: il “verde” c’è!
E mentre io aspetto quel “FONTE DEI” che ancora manca alla mia collezione, Voi date una ventina di euro al Vostro enotecario di fiducia: ne vale la pena.