“A”lessandro e “D”ario COOS si meritano un articolo sicuramente più corposo di queste poche righe, ci stavo già lavorando, ma è ripresa la sarabanda degli eventi ed io, sempre in guerra con le parole, arranco ora dietro a questi e con la scrittura più di quanto dovrei.
Per il momento accontentateVi di un po’ di storia e di un vino che questa storia la racconta.
Ramandolo è frazione di Nimis, estremo lembo settentrionale dei Colli Orientali del Friuli, là dove il Monte Bernadia protegge il Flysch di Cormons che il tempo ha modellato in ripide colline.
Qui, coltivare la vite è roba che richiede tenacia e braccia forti.
Qui, ponca, clima e uomo producono tesori che finiscono nei nostri calici.
Qui piove “‘na cifra”, qui tra il giorno e la notte ci sono 20° di differenza, qui le nebbie sono una benedizione e la “muffa nobile” è un dono.
A Ramandolo, il primo ad “impostare” è stato Giovanni, ma è Dario che, agli inizi degli anni ’80, ha portato avanti quel progetto che aprirà poi le porte della DOCG ad un vino che, fino agli anni ’90, era conosciuto solo come Verduzzo Friulano.
Intanto, se volete leggere qualcos’altro sul RAMANDOLO, Vi invito a buttare un’occhio su un’altro articolo che dedicai non molto tempo fa ad una delle interpretazioni che ne fa Giovanni Dri.
Non andate a dirlo in giro, ma mentre aspettate con ansia quella corposa e dovuta descrizione di cos’è AD COOS, Vi “spoilero” che è cosa di pochi anni fa.
Una fenice che Dario ha fatto risorgere separando il proprio operato da quello di un’Azienda che, ancora adesso, porta il Suo nome, ma nei vini della quale non si riconosceva più.
3ha qui, un altro in affitto nel cividalese (ovunque collina), 10000 bottiglie, 6 etichette e solo Territorio: Refosco dal Peduncolo Rosso, Friulano, Sauvignon e Ramandolo Classico dai vigneti dietro casa, Ribolla Gialla e Pinot Grigio da quelli in affitto.
Si, vabbè, ma del Protagonista di queste righe?
Giusto!
Questo di Alessandro e Dario è un “RAMANDOLO” fatto come lo codificò Dario tanti anni fa: lavorando su acidità, tannini e grado alcolico gestito con la vendemmia tardiva.
Il naso è di una complessità disarmante: c’è la frutta disidratata del panettone, lo zafferano, la cannella, crema, frutta secca sotto miele ed il vento che scompiglia i prati in collina.
L’assaggio è segnante: dolcezze e grassezza accarezzano il palato con una dinamica che solo un’acidità di questo livello potrebbe consentire.
Un vino verticale?
Assolutamente, ma di una ampiezza oceanica.
Abbinamenti?
Qui c’è la freschezza, la dolcezza, il tannino che pulisce, l’amaricante finale ed un grado alcolico non indifferente.
Voi fate come Vi pare, per me è un vino solo da formaggi, prosciutto di San Daniele, certi tipi di crostacei e…la carbonara.
Un vino che lascia perplessi, ma non in positivo: DEPPIÙ!
Fate attenzione a metterlo in tavola con gli amici: non ve li togliereste più di torno.