IL COSA ED IL DOVE
LIFE OF WINE 2021, il format ideato da STUDIO UMAMI e ROBERTA PERNA COMUNICAZIONE ENOGARSTRONOMICA, ha fatto tappa all’Hotel Villa Pamphili di Roma la scorsa Domenica 10 Ottobre 2021.
69 Aziende , 150 etichette, 317 vini (tra cui oltre100 vecchie annate) a disposizione del “popolo degli assaggi”.
Per me, un’occasione forse unica per tuffarmi nei marosi delle emozioni, lasciare vagare i sensi tra colori, profumi ed aromi che seguono lenti lo scorrere del tempo.
Un tempo che qui non esiste, qui il passato si fonde con il presente, qui “ieri” diventa “oggi” e “domani” sarà memoria.
Un tempo che racconta, nel bicchiere, storie di uomini e territori
Mi sono fatto un bel programmino su carta, uno di quelli che già so di non riuscire a rispettare, così come già so che non riuscirò a “rispettare” i vini che assaggerò, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per l’occasione non consona, vuoi per il caos che mi circonderà.
Tuttavia parto con lo spirito giusto ed una settimana di mental coaching dedicato.
GLI ASSAGGI
Stavolta, almeno nella “sessione mattutina”, si procede per ordine, quindi: via con le bolle e non si fanno prigionieri!
TRENTINO ed ALTO ADIGE
LETRARI
TRENTO DOC RISERVA “DOSAGGIO ZERO” 2010, 2012, 2014, 2015
Ad aprire le danze sono le elegantissime bollicine di Lucia Letrari.
4 annate e due differenti filosofie evolutive sono davvero un bell’inizio.
Una specie di gioco quello che Lucia vuole fare, giocando sulla degorgiatura e sulla permanenza sui lieviti per evidenziare le due differenti anime insite nel Metodo Classico.
2012 (Magnum), 2014 e 2015 (l’annata in commercio) si sono riposati sui lieviti per 60 mesi almeno e sono stati sboccati tutti nel 2021.
È evidentissima l’impronta di un Territorio (magistralmente interpretato) che è un mix di calcari e basalti.
Mentolato e balsamico si danno di gomito in un crescendo a ritroso e, nella 2014, si accostano ad una impronta fresco-sapida che alza la testa.
La 2010 è tutta un’altra storia: di una completezza disarmante!
Sfericamente verticale, si aggiudica il mio premio “QUADRATURA DEL CERCHIO“!
KETTMEIR
ALTO ADIGE DOC RISERVA “1919” EXTRA BRUT 2012, 2013, 2014, 2015
60% di Chardonnay (di cui un 20% se ne sta in barrique) e 40% Pinot Nero.
Un prodotto totalmente diverso da quello di LETRARI, giocato molto di più sull’acidità e sull’agrume che lasciano spazio alle balsamicità solo in coda soprattutto nella 2012.
La 2013, dosata sempre con lo stesso vino della Riserva, si propone con una schiena decisamente più dritta.
La 2014 è spiazzante. L’annata piovosa si propone al naso con un bello slancio verticale che, in bocca, si corica aprendosi a complessi orizzonti gustativi.
Infine, una sola parola per l’attualissima 2015: immediatezza.
CANTINA KALTERN e ERSTE + NEUE (le mischio insieme per ragioni che lascio scoprire a Voi).
CANTINA KALTERN
PINOT BIANCO ALTO ADIGE DOC “QUINTESSENZ” 2016, 2017, 2018, 2019
ALTO ADIGE DOC “SAUVIGNON 2014, 2016, 2019
ERTE+NEUE
PINOT BIANCO ALTO ADIGE DOC “PUNTAY” 1990, 2007, 2019
PASSITO BIANCO IGT “ANTHOS” 2001, 2008, 2010, 2014
Dimensioni importanti per vini importanti, potrei riassumere così una filosofia produttiva.
650 Soci, disciplinare rigidissimo, obiettivi da raggiungere, punteggi da rispettare.
Conferimento delle uve comandato a bacchetta da un enologo puntiglioso (quell’Andrea Moser di cui avrete già letto anche qui) che assaggia ogni singola cassetta e la cui bravura misuro senza tema con la cartina tornasole di quei vini base che qualcuno potrebbe erroneamente sottovalutare (e non su quelli TOPPP su cui sarebbe troppo facile non sbagliare).
ERSTE + NEUE sono qui i due estremi di un Pinot Bianco: un 2019 che sa di mare ancestrale e frutta secca ed un 1990 che, di prima mattina si becca il mio personalissimo premio “MARAVILLA”: 31 anni di ragazzina gioventù, verticale ed ancora monello nello spirito ma con una complessità che sa di saggezza antica, giocata su note di pasticceria natalizia: l’uvetta e la frutta candita del panettone, la ciotola di frutta secca da sgusciare con pazienza nel dopo pasto.
Nulla in questo gioiello si misura con la fretta e tutto impone riflessione ed impegno.
Segnante!
2014, 2010, 2008 e 2001 sono le annate di un passito di meravigliosa cooperazione tra Riesling, Sauvignon e Moscato che segnano le diverse annate con acidità crescente culminando in complessità di pasticceria dolce e salata.
Ancora CANTINA KALTERN ed ancora Pinot Bianco con le annate 2016, 2017, 2018, 2019.
La prima è un omaggio alla 1990 di ERSTE + NEUE su note gustative ovviamente meno emozinali.
La calda annata 2017 mette in risalto aromaticità nuove che, nella piovosa 2018, singolarmente, si arrotondano con una nota calorica più distinta.
Equilibrio anglosassone è il giusto descrittore di una 2019 di dolomitica verticalità.
Il Sauvignon è declinato nelle annate 2014, 2016 e 2019.
Alla grande estrazione nella prima nonostante la piovosità, segue il naso meno definito nella 2016 ed il funambolico equilibrio della 2019.
VALLE D’AOSTA
PIANTAGROSSA
VALLE D’AOSTA DONNAS DOC ”GEORGOS” 2016, 2017, 2018
VALLE D’AOSTA DOC “396 AESCULUS HIPPOCASTANUM”
Un’Azienda (5ha di impianti tra i 25 ed i 60 anni e 16000 bottiglie) arrivata alla settima vendemmia che sta in quella Valle d’Aosta che è quasi ancora Piemonte e che guarda già alle vette più alte d’Europa.
“396” erano gli anni del monumentale ippocastano che sorvegliava un’Azienda che vuol dire Nebbiolo, quello del Nord, quello di montagna, ed a lui è deticato questo “AESCULUS HIPPOCASTANUM” che profuma di viola e funghi secchi e che in bocca, sapido ed elegante, non scorda la liquirizia.
“GEORGOS” vuol dire “lavoratore della terra” ed è una dedica a quel Giorgio che per primo aiutò una proprietà che si era ampliata e cui servivano braccia in vigna.
Complessivamente, i frutti rossi introducono all’umido bosco ed ad una peposa atmosfera.
Equilibrio è la parola d’ordine, dinamismo la filosofia.
La 2018 propone un vino sportivissimo (legno Stockli grande) dinamico, spigoloso che ricorda il Lessona (anche in termini di filosofia produttiva).
Nella 2017 c’è meno stoffa ma l’anno in più lo rende “quasi” pronto.
La 2016 è pazzesca!
Compendio delle prime due senza i minus della 2017, un nettare rotondo.
Una curiosità?
Niente bottiglie da 750ml (e per questa attenzione nei confronti di noi bevitori si aggiudica il mio premio “ABBRACCIO“)!
Solo da un litro (perchè quella da tre quarti non basterebbe), eventualmente Magnum e, per i poveracci, da “mezzo tubbo” (cit SISTO V).
VENETO
Il Veneto è quello di
SECONDO MARCO
“AMARONE DELLA VALPOLICELLA” CLASSICO DOCG 2011, 2012, 2013
“VALPOLICELLA” CLASSICO SUPERIORE RIPASSO DOC 2014, 2015, 2016
Un produttore che sa di “padreterno” e che, nel Veneto dei Dogi sceglie etichette di tale disarmante modernità integrandole alla perfezione con la tradizione contadina (osservate bene quel mulo e mi darete ragione), che è da assaggiare assolutamente.
16ha di veronese e 85000 bottiglie.
Vigna moderna e cantina tradizionalmente rispettosa
Di elegante slancio verticale, il “RIPASSO” se la gioca tra il tabacco e le more gestendo magistralmente i tannini in un assaggio avvolgente.
L’annata 2016?
Nomen omen: “RIPASSO” perche ripasserei!
Freschezza, bevibilità, immediatezza e diabolica tentazione del secondo bicchiere che, nella 2015, se possibile, aumentano di uno step.
La 2014, anche questo, botte grande da 50hl e tonneau per smorzare le spigolosità, sembra incarnare quella che presumo essere l’idea aziendale del Ripasso.
Dritto come un fuso, complesso come le sacre scritture.
Un “AMARONE” che alla confettura di visciole, preferisce la la scura vegetalità delle selve e non disdegna il ferro e la grafite.
Freschezza e tannini matericamente setosi riempiono l’assaggio.
Un’etichetta che con “l’omo più forte der monno” che solleva il bilanciere a due palle con una sola mano già parla di equilibrio.
La via moderna all’Amarone?
Di sicuro, la 2013 che fa cemento e 100 giorni di macerazione, è dissacrante e moderna e si aggiudica il mio personalissimo premio “SURPRAIS“).
Togliete 10gg di macerazione (nella 2012 sono 90) ed otterrete quanto di più lontano c’è da quello che è l’Amarone nell’immaginario collettivo.
2011 si legge “80 giorni di macerazione” (sempre meno) modernamente tradizionale, come la cucina contadina rivisitata.
MARCHE
COL DI CORTE
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO SUPERIORE DOC “VIGNETO DI TOBIA” 2017, 2018, 2019
MARCHE BIANCO IGT “SANT’ANSOVINO” 2018, 2019
COL DI CORTE (13ha e 50000 bottiglie che vanno, ahimè, per il 70% all’estero) mi porta nelle Marche
“VIGNETO DI TOBIA” (uno dei CRU dell’Azienda) propone un Verdicchio 2019 che morde di freschezza e scoda di sapidità riempiendo la bocca con un assaggio pieno e masticabile.
E mentre la 2018 si propone come decisamente più lineare e didattico (il naso, giocato tra ginestre e finocchio selvatico, si conferma in un assaggio glicerico che riequilibra la scalpitante vena fresco-sapida), la 2017 propone un vino totalmente differente.
Aromaticità e speziatura introducono ad un fruttato maturo di mela golden e pesca bianca cui sovrintende un ampio corredo di erbe aromatiche.
“SANT’ANSOVINO” 2019 viene dallo stesso vigneto ed è birichino!
Tappo a corona e ceralacca per un assaggio che si propone con pugno di ferro in guanto di velluto (nervosamente minerale e fumè in una quiete di camomilla).
L’annata 2018 regala pienezza e verticalità ed aggiunge, alla successiva aromaticità, anglosassone assaggio e sapidità marina.
Biodinamici dal 2016 e fermentati spontaneamente dal 2015, regalano proposte beverine e, a naso, quotidianamente differenti, quasi ad inseguire lo spirito.
COLLESTEFANO
VERDICCHIO DI MATELICA DOC “COLLESTEFANO” 2013, 2014, 2016, 2018, 2019, 2020
È stata, un quarto di secolo fa, la prima Azienda di Matelica a proporsi come BIO.
6 annate di Verdicchio in cui non può non spiccare un packaging che propone il tappo Stelvin (utilizzato sin dal 2012).
2020, 2019 e 2018 propongono mineralità e Territorio in un crescendo di equilibri ed eleganze.
La 2016 ha un naso decisamente più sferico (merito, credo, del lungo riposo in bottiglia).
La sapidità rimane ancora discriminante ma il vino sembra avvolgersi su sè stesso imprigionando note di susina che, con attenzione, riusciamo a far emergere.
La 2014 indossa i panni del vino nordico regalando grande estrazione e verticalità alpina.
La 2013 alla freschezza va ad aggiungersi una complessità che esalta le erbe aromatiche e rende l’assaggio decisamente completo.
SANTA BARBARA
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO RISERVA DOCG “TARDINO MA NON TARDO” 2010, 2015, 2016, 2018 (vendemmie sempre più anticipate)
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO SUPERIORE “STEFANO ANTONUCCI” 2019
Quest’ultimo, fresco vincitore dei 3 Bicchieri del Gambero Rosso, è l’unico della pattuglia a passare (in parte) un po’ di tempo in barrique.
Sciorina versi di camomilla e mandorla fresca tra nuvole fumé e dinamica mineralità.
Equilibrato e didattico, esalta la sapidità e riesce ad essere di sferica verticalità.
“TARDINO MA NON TARDO” 2018 regala un naso ripidissimo, un assaggio rotondo e di sorprendente “tannicità” ed un finale lungo e compito.
Mentre la 2016 perde qualche punto in bocca, la 2015 pur presentandosi con la stessa filosofia, aggiunge una complessità importante.
La 2010 è spiazzante per come riesce a mixare la freschezza del naso con la sfericità dell’assaggio senza che le due cose cozzino sul piano dell’equilibrio gustativo.
Una nota dovuta per una brochure dorata (da quale idea derivi scopritelo Voi) che colpisce quanto le fichissime etichette di Katia Uliassi e l’impegno con la Fondazione Dr. Dante Paladini ONLUS.
Qualità senza dimenticare Marketing, Packaging e Solidarietà gli valgono il mio premio “OKKIO DI RIGUARDO“.
TOSCANA
COLOGNOLE
CHIANTI RUFINA RISERVA DOCG “RISERVA DEL DON” 2006, 2009, 2012, 2015
CHIANTI RUFINA DOCG “VIGNA LE ROGAIE” 2015
CHIANTI RUFINA DOCG “COLOGNOLE” 2017
TOSCANA IGT “SARÀ” 2018
Uno dei fiori all’occhiello di WINEFOOD 2.0 inaugura la folta pattuglia toscana.
“QUATTRO CHIACCHIERE A OLTREPOGGIO” 2018, nonostante l’annata piovosa, riesce a proporre eleganza e grandi profumi.
Susina e mela Granny Smith introducono ad un sorso di grande sapidità sulle labbra ed astringenza quasi tannica (saputo di una verticale che si è spinta sino al 1992, la mia curiosità è decollata).
“COLOGNOLE” 2017 c’ha solo un 4% di Canaiolo e propone un bel frutto che ammicca dietro la caratteristica nota verde del Sangiovese.
Beverino quel tanto che serve per rimanere aderente alla tradizione.
“VIGNA LE ROGAIE” 2015, viene da un CRU piantato nel 2003 e, mentre propone un frutto croccante con eleganza di dama, entra diretto, pur senza spigoli, con piglio maschio da boxeur.
La folta schiera di “RISERVA DEL DON” inizia da un’annata 2006 particolarmente “RUFINA” (che vuol dire quota).
Non cercate quella nota di prugna del CHIANTI CLASSICO: non c’è (e va bene)!
Le spezie la fanno da padrone e traghettano verso un assaggio dritto nel quale le spigolosità del vitigno sono solo ombre che evolvono verso un rotondo equilibrio.
Se della 2009 colpisce la sensazione di “scuro” più che quella del frutto, nella 2012 domina il sole e la complessità aromatica.
La 2015 (quella in commercio) ripropone la stessa eleganza della Selezione (LE ROGAIE) con una struttura del tutto diversa ed una tannicità decisamente percepibile sulla lingua.
“SARÀ” è tanto maledettamente orientale e misterioso quanto poco toscano e si aggiudica il mio premio “È“.
Un “esperimento” alla ricerca di finezze da visir più che di grassezze da Jabba the Hutt.
TENUTA MONTETI
TOSCANA ROSATO IGT “TM ROSÉ” 2020
TOSCANA ROSSO IGT “MONTETI” 2016, 2013, 2011
TOSCANA IGT “CABURNIO” 2016
Il rosato è Cabernet Franc e Merlot (mooolto Merlot), marino come si conviene ad un vino che guarda in faccia il Tirreno e fresco come una brezza.
Un assaggio che riserva dolcezze a bilanciare la spiccata sapidità.
Un po’ troppo femminile per i miei standard ma di sicuro fascino.
“CABURNIO” 2016, che sfodera un parterre di mirtilli, tabacco e caffè, è Cabernet Sauvignon, Alicante e Merlot, con il primo che comanda e gli altri due che sono solo ballerini di fila.
“MONTETI” mette insieme (e lo fa veramente) Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot e le loro peculiarità: il giusto di vegetale, una bella freschezza, un cestino di more ed amarene ma pure cioccolato e cannella.
La 2013 me la ricordavo come un’annata “segnante”, ma qui si esagera in freschezza!
Della 2011 mi viene da dire: peccato!
Un naso completo, vasto e da sfogliare che però si perde in un assaggio che l’acidità poco controllata rende sgraziato.
TENUTA IL BORRO
TOSCANA IGT “IL BORRO” 2003, 2008, 2017
Quando mi hanno detto le dimensioni dell’Azienda ho pensato ai latifondi portoghesi: 1100ha!!! Ma di questo pezzo di Toscana che fu dei Pazzi e dei Medici (ma pure dei Savoia) solo 85 sono vitati e le bottiglie prodotte sono solo 250000 contro le 800000 potenziali.
Un BIO che dall’annata 2015 ha portato all’abbandono del Petit Verdot per la difficoltà di gestirlo in questo tipo di conduzione.
L’annata 2003 è per il 55% Merlot (arrotonda) cui si aggiungono un 40% di Cabernet (quel pizzico di vegetale che ci sta proprio bene) ed un 5% di Sirah (la spezia che lo rende misterioso) partecipanti ciascuno per il suo alle caratteristiche di questo interessantissimo vino (di cui ho voluto assaggiare una seconda bottiglia che, confermando le belle impressioni della prima, cancella le piccole pecche del primo assaggio con più equilibrio e frutto).
La 2008 ha meno Merlot al naso, meno Cabernet sulle gengive e meno Sirah in bocca.
Fresco, giovane, scalpitante.
Nella 2017 manca il Petit Verdot ed è davvero troppo giovane, è però sulla stessa linea della 2008 ed ho preso nota di riassaggiarlo tra 10 anni.
ABRUZZO
GUARDIANI FARCHIONE
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC “’74 TENUTA DEL CEPPETE” 2012, 2015
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOC “CORSO XX SETTEMBRE” 2015, 2016, 2017
Un’Azienda a trazione femminile di cui, anche per questo motivo, mi impegno sin d’ora ad approfondire la conoscenza non appena tornerò in Abruzzo.
Di “CORSO XX SETTEMBRE” 2015 colpiscono frutto e peposità.
Fresco di mare, erbaceo il giusto e decisamente mentolato.
La 2016 è frutto evidente della stessa mano ma con un tocco di calore in più, mentre la 2017 è decisamente troppo “ragazzino” pur essendo già “maschiamente” Montepulciano.
“’74 TENUTA DEL CEPPETE” celebra la prima annata di imbottigliamento dopo lunghi anni di sfuso presentandosi in abito scuro di humus e tabacco e recando in dono un mazzo di viole.
La 2015 pur nella sua freschezza disarmante, si propone cala e chinosa.
“DI TE DI ME” 2011 mi imbarazza un po’ nel definirla fresca (nel senso di giovane), ma tant’è.
Violette e confettura di visciole sono il palcoscenico su cui appaiono più tardi tabacco ed erbe aromatiche
Una punta d’alcol che all’amarena fa strizzare l’occhio verso il boero introduce ad un assaggio di equilibrata vena fresco-sapida e tanniche carezze.
Che dire: lo aspetto di nuovo qui tra 10 anni e, nel frattempo, gli conferisco il premio “ATTESA“!
LAZIO
TENUTA DI FIORANO
VINO ROSSO “FIORANO ROSSO” 1988, 2013, 2014
Se nell’annata 2014 non c’è nulla da scoprire e nulla da aggiungere ad un vino che si commenta da sè (al naso, resina ed incenso duellano con spezie e frutti rossi prima di un assaggio di basaltica mineralità e piccante persistenza), nella 2013 troviamo una freschezza aggiunta ed una risma di fogli da spulciare uno ad uno, un’evoluzione che aumenta bicchiere dopo bicchiere senza mai lasciare indietro la piacevolezza.
E la 1988? Tanta roba dopo 33 anni!
CAMPANIA
SALVATORE MOLETTIERI
TAURASI DOCG “VIGNA CINQUE QUERCE” 2007, 2009, 2010, 2013, 2014
TAURASI DOCG RISERVA “TENUTA CINQUE QUERCE” 201
TAURASI DOCG “RENONNO” 2015
FIANO DI AVELLINO DOCG “APIANUM” 2019
17ha a Montemarano che producono 80000 bottiglie.
Azienda del 1983, passa dallo sfuso alle prime bottiglie nel 1988 per arrivare ad una prima riserva targata 1997.
Tradizione e cura in vigna ed innovazione tecnologica in cantina.
“APIANUM” 2019 è oltremodo minerale.
Si apre su note di pera e, dopo aver virato sulla nocciola, atterra su note di cera d’api e pietra focaia proponendo una corretta rispondenza naso-bocca.
“RENONNO” 2015, 70 anni di impianto (in parte ancora a piede franco) rinnovato con barbatelle dello stesso vigneto.
Un Aglianico vulcanico, lavico, arcaico, terragno.
Il “CINQUE QUERCE” propone un naso complesso di prugna in confettura spezie e tostature di caffè e cacao e, nell’annata 2014, paga lo scotto dell’annata con una prontezza lontana dall’arrivare e tannini lontani dall’integrazione.
Meglio la 2013 (raccolta 23 Novembre, tardiva come nella migliore tradizione) che si presenta anche con una rinvigorita freschezza che, nella 2010, fa un ulteriore passo avanti.
2009 e 2007 sono il crescendo di emozioni che aspettavo!
Non stiamo assaggiando vini, ma sfogliando fotografie di Territorio, Uomini e Filosofie.
AD ORA?
Ora “c’era” il problema di scrivere questo articolo facendo a pugni con quelle parole che mi mettono i bastoni tra le ruote e fanno di tutto per impedirmi di mettere nero su bianco le emozioni.
C’era perchè qualcosa sono riuscito a scrivere (con grande difficoltà), quello che invece c’è davvero ora è la voglia di approfondire andando a ficcare il naso in quelle Aziende che mi hanno regalato questa magnifica giornata.
NOTA
Come sapete, non ho peli sulla lingua, quindi anche questa cosa la devo dire: l’esame di idrogeologia mi ha insegnato che le acque “iperminerali” andrebbero assunte sotto controllo medico ed i numerosi di vulcanologia che il “vulcanismo sardo” risale al Cenozoico.
Mi piacerebbe quindi capire quale iperbolica idea di marketing ci sia alla base di un prodotto del genere.
Un’acqua da palombaro, un’esperienza “segnante” che si merita il premio “CORAGGIO” (“a buon intenditor, poche parole” Cit.).