Tanto tempo fa…
Parlando dei Castelli Romani, è difficile non associarvi il Vino.
Se quindi, ora, io Vi dicessi che storicamente, l’area del Vulcano Laziale era anche considerata come zona di produzione di eccellenti oli di oliva, forse Vi stupireste.
Eppure è proprio nella tradizione classica che si deve ricercare l’origine di questa notizia.
Le “ville” che i patrizi romani erano soliti costruirsi nell’area dei “Castelli” erano da una parte un modo per fuggire dal caos della città, e dall’altra per dedicarsi ad una agricoltura che numerosi letterati dell’epoca erano usi celebrare in canti e trattati (Catone e Columella solo per citarne un paio).
Nel Lazio la coltura dell’olivo risale almeno al VII Sec. a.C. e fu proprio grazie ai Romani se si diffuse ampiamente nell’Impero.
Roma consumava grandi quantità di olio (basti pensare che sotto Costantino nella capitale dell’Impero si contavano 250 forni per il pane e ben 2300 distributori di olio): olio per cucinare, per illuminare, per la cosmesi, la cura del corpo alle terme, la palestra…
Le cave di pietra di Albano dalle quali si ricavavano le macine per la frangitura delle olive, la Chiesa della Molara a Grottaferrata ed il Tempio di Ercole Olivario a Lanuvio, sono concreta testimonianza dell’importanza dei Castelli Romani nella produzione olearia al tempo dei Romani.
La Villa: cos’era, cos’è
Per parlare compiutamente di VILLA CAVALLETTI, di cosa ha rappresentato e di come prosegue in chiave moderna l’antico compito di ospitalità e cultura, servirebbero ben più di queste poche parole ma un inquadramento al fine di capire il “chi” ed il “cosa” c’è dietro quelle “3 Foglie” con cui GAMBERO ROSSO ha premiato l’EVO dell’Azienda Agricola TIERRE, è doveroso ed indispensabile.
VILLA CAVALLETTI, tra le varie Ville Tuscolane, è rimasta per gran tempo “nascosta” nonostante i suoi 27ha.
Il suo bellissimo parco monumentale è bellissimo, ricco di scorci sulla Capitale ed i borghi circostanti.
Censito in ogni sua pianta, è un mix di “giardino all’inglese” e “giardino all’italiana” che regala angoli dove la meditazione è d’obbligo.
La villa venne edificata nel 1596 per volere del Marchese Cavalletti che, nel solco delle “ville podere” dei Romani, volle si dedicare parte del parco monumentale alla collezione di essenze arboree, ma lasciare grande spazio ai “tre tesori del Mediterraneo” (Vite, Ulivo e Grano) stante la fama di grande qualità di cui godevano i prodotti agricoli provenienti da questa zona geologicamente importante (siamo su una delle 4 grandi colate laviche del Vulcano Laziale).
Nata dunque con intenzioni residenziali e di ospitalità divenne nel tempo polo di aggregazione culturale.
Rifugio di numerosi ebrei durante la 2a Guerra Mondiale, nel Dopoguerra divenne Curia Generalizia della Compagnia di Gesù (Papa Francesco la frequentava in qualità di Padre Provinciale dei Gesuiti dell’Argentina).
E proprio i gesuiti ebbero la necessità, negli anni ’60, di costruire un nuovo edificio (denominato Accademia Villa Cavalletti) a fianco di quello storico.
Gli anni ’90 saranno quelli in cui, sotto la spinta di quello che sarebbe diventato Papa Benedetto XVI, diventerà la sede della Comunità Cattolica di Integrazione (poi divenuta Accademia per la Teologia del Popolo di Dio).
L’attuale Proprietà, vuole raccontare oggi la villa com’era, mantenere inalterate le funzioni svolte nel tempo dal complesso residenziale, dedicando all’Ospitalità la qualità dei servizi offerti dagli appartamenti e dagli alloggi agrituristici, alla Cultura le aule del Liceo Classico “Cicerone” ed i laboratori (cucina, sala ed accoglienza) dell’Istituto Tecnico Alberghiero “Maffeo Pantaleoni”, ai Prodotti della terra la tenuta agricola e le eccellenze che produce.
Una nota, a latere, sull’accoglienza riguarda gli alloggi agrituristici (in realtà molto di charme e poco “agri”): bellissimi!
Totalmente ECOlabel certificati ed abbelliti (meglio sarebbe dire “nobilitati”) dalle pitture di Roberto Giglio (ispirate alle vedute del Grand Tour del ‘600) e dalle suppellettili che mixano il legno dell’ulivo ai mosaici dell’Abbazia di San Nilo.
L’uliveto
È Tiziana (Torelli), tra l’altro Presidente dell’Associazione “Vignaioli in Grottaferrata”, a guidarmi tra gli ulivi secolari del Parco di Villa Cavalletti a Grottaferrata (sottoposti in questi giorni a pesanti ma miratissimi interventi di potatura atti a “ridare forma” a piante ancora in fase di “ripresa” dopo la gelata del 2017).
6000 piante (2000 piante qui, alcune tra il Barco Borghese e Villa Mondragone ed altre nella proprietà dei Gesuiti a Colle Smeraldo).
Mentre si parla di Storia e di Qualità mi viene da pensare essere piuttosto strano che sia venuta a dei tosco-romagnoli l’idea di ridare all’Ulivo dei Castelli Romani quella dignità perduta ma tutt’ora dovuta.
Frantoio, Rosciola, Leccino, Carboncella e, singolarmente, Itrana le cultivar presenti.
E poi la certificazione BIO che indica una scelta ma soprattutto il rispetto per un Territorio e riguarda, sin dal 2019 sia il vigneto che l’uliveto.
Da quest’anno poi vale anche per il grano, presente come produzione sin dal ‘500 e scelto nella varietà Platone dopo aver analizzato i terreni ed effettuato una ricerca sulle varietà coltivate storicamente in zona.
Una scelta certo non facile.
BIO significa grossi investimenti e necessità di spese oculate (visti i costi di gestione di un’Impresa soggetta alle mutevoli stagioni).
In quest’ottica rientrano anche l’uso delle più moderne tecnologie, GPS compreso, per monitorare gli interventi in campagna rendendoli quanto più mirati ed efficaci possibile.
La stessa potatura di cui accennavo sopra viene fatta da una squadra specializzata in cui ciascuno ha il proprio compito specifico in modo da rendere la forma di ciascuna pianta idonea alla raccolta nel minor tempo possibile.
Considerata l’estensione dell’uliveto, la raccolta inizia a metà Settembre e termina entro la metà di Novembre e viene effettuata, oltre che in base alle cultivar, per “zone di esposizione” in modo da seguire nel miglior modo possibile la maturazione delle drupe e portarle immediatamente in frantoio (FONTANA LAURA, BIO anch’esso, si raggiunge in mezz’ora al massimo).
Filtratura immediata e stoccaggio.
Una unica cisterna per una unica etichetta anche se, si sta pensando a realizzarne altre non tanto per valorizzare le singole cultivar, quanto il flavour derivanti dalle diverse zone di esposizione dell’uliveto.
L’EVO
Ed alla fine: ECCOLA!
“OLIO ET AMO” (a riprendere il carme di Catullo) è l’etichetta dell’EVO di VILLA CAVALLETTI, quella delle 3 foglie del GAMBERO ROSSO!
Solo poche parole
Non vi dico del colore perchè l’ho assaggiato nel bicchiere giusto: quello BLU.
Un fruttato leggero, più maturo che verde.
Ti abbraccia con i fiori della campagna romana e quel tanto di carciofo che basta.
Strippate, tossite ma non commettete l’errore di assaggiarlo di corsa fermandoVi solo al carciofo che alza la testa.
Se avrete la pazienza di aspettare, vi accorgerete di quanto sia lungo e di quanto nasconda: frutta secca in primis (mandorla si ma tanta nocciola) ed un piccante non esagerato ma piacevolmente persistente.
Nel complesso: sorprendentemente elegante, molto più elegante di quanto mi sarei aspettato da un EVO proveniente dal Territorio di quella Tusculum che, per fierezza, sorprese più volte Roma.
Ora tocca a Voi assaggiarlo per decretarne qualità e successo.
A me toccherà invece approfondire il discorso relativo ai vini, aspettare di ficcare bene il naso nel grano, e fare del mio meglio per aiutare Tiziana a diffondere la Cultura dell’EVO di Qualità in tutte le maniere possibili.
Stay tuned.