Bisogna innanzitutto chiarire cosa si intende per PASTA.
Cos’è la pasta
La pasta alimentare è un impasto di acqua e semola non fermentato (lo stesso, lievitato, è usato per fare il pane).
Pensando alla sua origine, ci viene in mente Marco Polo che descrive gli spaghetti dei cinesi, ma la pasta era sicuramente già conosciuta ai tempi della Magna Grecia dove veniva indicata con il nome di làganon.
Una prima distinzione all’interno della categoria merceologica, si può fare dividendo la PASTA SECCA, che ha un tenore di umidità massimo del 12.5% e che deve essere prodotta con impasti di sfarinati di grano duro (semola, semolato ed integrale), da quella FRESCA, dove il tenore minimo di umidità è del 24% ed oltre agli sfarinati di grano duro si possono impiegare anche farine di grano tenero.
100 gr della prima, una volta cotti, diventano 215 gr, mentre dallo stesso quantitativo della seconda se ne ottengono 165.
Con cosa si fa la pasta
Farine, semole e semolati, si ottengono dalla molitura della cariosside (il frutto) del frumento, all’interno della quale sono concentrate le sostanze fitochimiche e gli oligoelementi.
Parlando delle tipologie di grano duro utilizzati, possiamo senz’altro identificare il tradizionale moderno, caratterizzato da una elevata produzione per ettaro (50q.li) e da una bassa percentuale di proteine ed oligoelementi.
Ha una altezza ridotta e necessita di trattamenti con diserbanti, fungicidi e concimazioni chimiche.
Quello biologico, viene invece coltivato “senza” chimica ed ha una bassa produzione per ettaro (20q.li) e l’ormai famoso Senatore Cappelli (non irradiato con raggi gamma) è una antica varietà che rientra in questa categoria.
Ci sarebbe anche quello biodinamico, ma bisognerebbe scomodare la filosofia per poterne capire la vera natura oltrechè prendere per buone le affermazioni dei vari produttori.
Abbiamo parlato poco sopra degli sfarinati, nel particolare possiamo definire la semola come il prodotto granulare a spigolo vivo ottenuto dalla macinazione e conseguente abburrattamento (setacciatura) del grano duro per liberarlo da sostanze estranee ed impurità (crusca e cruschello).
Se raffinato grossolanamente, si parla di semolato ed è più ricco di fibre e proteine.
L’integrale è un prodotto non raffinato che si ottiene dalla macinazione del grano duro senza abburrattamento.
Ha la stessa percentuale di proteine del semolato ma è molto più ricco di fibre che possono generare problemi intestinali.
La produzione
La prima fase della produzione è l’impasto con il 30% di umidità (acqua fredda con temperatura inferiore ai 25°) ed il semolato.
La successiva gramolatura serve ad ottenere un impasto più omogeneo e non eccessivamente viscoso, di modo che non occorrano pressioni troppo elevate (che farebbero innalzare eccessivamente la temperatura) durante la fase della trafilatura.
Le trafile in bronzo generano paste più ruvide e porose che assorbono fino al 30% in più di sugo rispetto a quelle lisce (attenzione: non stiamo parlando della presenza o meno di “rigature”).
La pasta così ottenuta, cuoce più velocemente perchè la porosità consente l’ingresso dell’acqua e la ruvidezza stimola maggiormente le nostre papille gustative amplificando i sapori.
Sono ideali per formati con spessori importanti (superiori a 1.2 mm).
La trafilatura al teflon invece, genera paste molto lisce e dal colore giallo paglierino.
A parità di spessore servono tempi di cottura più lunghi perchè l’acqua penetra con difficoltà all’interno.
È ideale per formati di spessore estremamente ridotto (ed è richiesta espressamente da alcuni mercati asiatici che ne preferiscono l’aspetto “estetico”).
All’uscita dalla trafila la pasta viene tagliata nei diversi formati prima di arrivare a quello che è il parametro fondamentale dell’ESSICCAZIONE.
Questa consiste nell’eliminare una parte dell’acqua iniziale somministrando calore.
Abbassare il grado di umidità, consente di limitare l’attività enzimatica riducendo al minimo le fermentazioni.
In sostanza, viene eseguita in impianti dove una sorgente di calore riscalda una massa d’aria che, investendo il prodotto da trattare, ne aumenta la tensione di vapore superficiale consentendo all’acqua contenuta di evaporare.
Molti di Voi avranno visto le immagini degli spaghetti appesi ai bastoni (i famosi spaghetti doppi) nelle strade di una Gragnano che, alla fine dell’800, faceva di tutto (modifiche del piano regolatore incluse) per far sì che l’aria che dai Monti Lattari scendeva al mare li potesse asciugare.
Per darVi una prima idea delle tempistiche, sappiate che nel 1880 occorrevano 8-10 giorni in estate e 20-30 in inverno per completare il processo.
Nel 1903, con l’avvento dell’essiccazione meccanica, si scese a 3-5 giorni ed oggi, con temperature che arrivano anche a 120°, bastano poche ore.
L’importanza della Temperatura di Essiccazione
Qui, ora, voglio iniziare a farVi ragionare su quanto i media non comunicano o comunicano in maniera poco chiara e corretta e su quanto diversi produttori possono dunque evidenziare stante la carenza di informazioni che Vi vengono date.
La temperatura di essiccazione influenza la qualità della pasta?
Decidetelo Voi.
Io Vi do, per ora, solo alcuni spunti di riflessione (un po’ di ricerca non Vi farà poi male).
La lisina, presente nel grano, è uno dei 9 amminoacidi essenziali e non viene prodotto autonomamente dal nostro organismo.
Nel 1912 Maillard, determina una serie di reazioni che dal 1990 consentiranno di indicare come marker principale del danno termico subito dalla pasta alimentare, proprio la lisina che si trasforma in furosina, una molecola non alimentare del gruppo AGE ch si sviluppa durante l’esposizione degli alimenti al calore.
L’entità della trasformazione è proporzionale all’aumento della temperatura.
I composti generatisi da tali trasformazioni sono in grado di aggredire i villi intestinali alterandone l’integrità strutturale e funzionale, inoltre entrano nel circolo sanguigno e, depositandosi a livello, destrutturano il tessuto connettivo delle cellule.
Cosa c’è nella pasta
Vabbè, ma nella pasta che ci sta?
Partiamo dall’amido, un polisaccaride del glucosio costituito da amilosio e amilopectina.
Durante la cottura, l’acqua penetra nell’amido e ne fa aumentare il volume.
Tale processo viene facilitato dal bollore e dall’abbondanza di acqua che consentono una cottura omogenea del prodotto.
Quella che definiamo comunemente “al dente”, è una pasta cotta uniformemente e che offre una resistenza tenace ed elastica, da non confondersi con una pasta che è cruda al centro.
L’80% delle proteine presenti nella cariosside del frumento sono composte da gliadine e glutenine.
Queste, con l’acqua dell’impasto danno luogo al glutine.
Le gliadine sono responsabili dell’estensibilità e della viscosità, elasticità e tanacia sono invece dovute alle glutenine.
Qualche altra notizia
Come detto poc’anzi, durante la cottura, l’amido assorbe acqua e si gonfia fino a rompersi liberando il proprio contenuto in acqua.
Il glutine forma un reticolo compatto che ha la funzione di trattenere l’amido.
Ecco perchè, dopo la cottura, la pasta prende facilmente il condimento e non si sfalda.
La pasta risulterà anche essere molto più digeribile, perchè l’amido al suo interno non sarà stato retrogradato dalle alte temperature di essiccazione e se saranno presenti le fibre del semolato, questo verrà assimilato in maniera graduale durante il processo digestivo e si eviteranno picchi glicemici.
Come si dice: “anche l’occhio vuole la sua parte” e, seguendo l’istinto, saremmo portati a preferire la pasta più gialla per quel suo richiamo al colore del grano maturo.
Tuttavia, a renderla più gialla, contribuiscono la trafila al teflon (che comunque non va assolutamente demonizzata) e, soprattutto, una essiccazione ad alta temperatura.
Trafile in bronzo ed essiccazione lenta a bassa temperatura produrranno, di contro, paste dal colore chiaro.
E l’acqua di cottura?
Se la struttura del glutine non è tale da “governare” l’amido in maniera corretta, il risultato sarà un’acqua troppo torbida ed una pasta collosa.
Quando il glutine ha invece la capacità di tener testa all’amido, riuscirà a ridurne la quantità che si discioglie in acqua, manterrà integra la sostanza interna e ne risulteranno migliorati sapore, caratteristiche organolettiche e consistenza della pasta.
E se l’acqua è trasparente?
FateVi la domanda e dateVi la risposta (avete mai provato a lessare dei tubetti di plastica?)!
Dal punto di vista nutrizionale, nella pasta troviamo: carboidrati (sotto forma di amidi), grassi (praticamente 0) e proteine.
La pasta fa ingrassare?
100 gr di pasta fresca cotta apportano 270 kcal, mentre la stessa quantità di pasta secca ne apporta 350 (senza sughi) ed un particolare senso di sazietà.
Sono le stesse calorie che assimilereste da una bibita, un paio di bicchieri di vino o una tavoletta di cioccolato fondente (400).
Conservatela in luogo asciutto ed areato in contenitori che, soprattutto nelle stagioni calde, possano tenerla al riparo dall’attacco dei parassiti.
Cuocetela come Vi pare (il mio metodo NON ve lo dico).
La formuletta è sempre quella di 1 lt d’acqua e 7-10 gr di sale per 100 gr di pasta.
Il sale mettetelo prima o dopo (poco importa e non incide sulle tempistiche cosa che invece fa il coperchio sulla pentola).
Il concetto di “al dente” è personale (anche se il momento esatto è quando si è gelatinizzata anche la parte centrale) e lo è altrettanto quello di quale formato per quale sugo (anche se un inglese, tale George L. Legendre, ha approfondito una serie di funzioni matematiche che consentirebbero di farlo).
Mo, studiate!
Se dovessi consigliarvi un “percorso di studio”, vi direi di provare con la sola acqua di cottura prima, e poi, in sequenza, con un grasso vegetale (olio), con un grasso animale (burro), con un sugo vegetale semplice (pomodoro) ed infine con un sugo complesso ed elaborato per rendervi conto che, a parità di formato, avrete assaggiato paste completamente diverse (il mio ABC della pasta parte dalla base: CACIO e PEPE, se aggiungete il GUANCIALE: GRICIA, se aggiungete il POMODORO: AMATRICIANA, se sostituite il POMODORO con l’UOVO: CARBONARA).
Mo, divertitevi da soli!