ANTEFATTO
La cosa singolare è stata trovarsi a parlare di vino durante quella parata di stelle dell’olio EVO che è stata FLOS OLEI 2019.
Ma come ben sapete la qualità sorprende…SEMPRE!
Stand: SICILIA.
Azienda: FEUDO DISISA.
400ha di cui 150 vitati, 80 di uliveti ed il resto a seminativi.
E tra i oli EVO dell’Azienda fanno capolino un CATARRATTO ed un NERO D’AVOLA.
Che fai? non assaggi?!
E siccome l’assaggio “sorprende”, mi tocca approfondire!
Ed è così che mi ritrovo coinvolto in una telefonata fiume con MARIO DI LORENZO, che di FEUDO DISISA è il proprietario (oltre ad essere il Presidente della DOC MONREALE).
Siamo in Sicilia, in provincia di Palermo, dove da una torre saracena (restaurata dalla Famiglia Di Lorenzo), si dominano i territori del Belice e dello Jato fino al golfo di Castellammare.
LA STORIA
“DISISA”. Un nome che deriva probabilmente da quell’“AZIZ” (la splendida) con cui gli arabi decantavano già nel 1200 bellezza e fertilità dell’area di Monreale.
La masseria, una volta edificata, fu di proprietà di Guglielmo II, passò per le mani dell’Arcivescovo di Monreale, arrivò tra quelle di una nobile famiglia palermitana e finì poi alla Famiglia Di Lorenzo una volta aboliti i privilegi feudali.
Saranno proprio i Di Lorenzo a convertire (con grande lungimiranza) la tradizionale dedizione a pascolo e seminativi di questi territori, nella attuale realtà di vigneti ed uliveti, mutando il volto del territorio non solo dal punto di vista agricolo, ma anche economico-sociale; una realtà che fin dagli anni ’40 riesce a coniugare tradizione ed innovazione
La leggenda
Un’Azienda da sempre legata a filo doppio con il Territorio, un Territorio che, come già detto, fin dall’antichità era rinomato per fertilità e produttività, tanto da alimentare la leggenda popolare de “LU BANCU DI DISISA”, un tesoro immenso nascosto in una grande grotta nascosta e ben difesa da un mostro che impedisce a chiunque di tornare indietro per godere delle ricchezze ritrovate; una leggenda citata da diversi storici delle tradizioni popolari e cantata anche da Mario Venuti in un pezzo del suo repertorio.
L’evoluzione
La Cantina, inserita tra le DOC MONREALE e ALCAMO, produceva essenzialmente vino sfuso per il consumo interno e per l’80% si trattava di “bianco” (Bianco d’Alcamo).
Tutto questo fino alla fine degli anni ’70, periodo durante il quale, tra l’altro, Alcamo balzò agli onori delle cronache grazie ad un articolo di VERONELLI che lo incoronava patria dei migliori vini bianchi del territorio.
E sono i primi anni ’80 quelli che segnano anche l’inizio della sperimentazione.
In collaborazione con l’Istituto Regionale Vini ed Oli della Sicilia, si vuole verificare l’adattabilità al clima ed ai terreni dei più importanti vitigni nazionali ed internazionali.
Un esperimento ed una sfida che portarono all’impianto del più vecchio vigneto di Chardonnay della Sicilia, un vigneto da cui proviene un vino marcatamente territoriale, ricco dei caratteri solari e marini dell’Isola.
Tuttavia, nonostante l’importante sperimentazione, l’interesse rimane centrato sul territorio ed in particolare sul Catarratto (il più diffuso) ed il Perricone (l’unico vitigno a bacca rossa autoctono della zona ed al centro ora di una dovuta riscoperta).
All’epoca il primo partiva regolarmente per i porti di Marsiglia e Livorno forte di quella “durata” garantita da gradazioni alcoliche più che importanti (15°-16°) dovute in primis alle alte temperature durante il periodo di maturazione.
Poi, con il “nuovo millennio”, prende il via quel suo nuovo corso che, senza dimenticare lo storico passato, porta l’Azienda ad imbottigliare con la propria etichetta già nel 2004.
Comune denominatore della produzione è quella freschezza garantita dalla importante acidità di base, ma la sapidità non è un aspetto secondario, forse perchè dai 500m slm il mare non solo si vede ma si percepisce essere distintamente portato dal vento.
3 vini
Delle 12 etichette dell’Azienda mi provo qui ad illustrarvene tre: il Catarratto “LU BANCU” e il Perricone “GRANMASSENTI” perchè hanno iun packaging chd mi piace un sacco ed il Nero d’Avola perchè si chiama “VUARIA” ed il nome mi emoziona.
Nel Catarratto c’è il calore della Sicilia, dei suoi frutti maturi, gli agrumi mischiati con quel qualcosa di tropicale che sull’Isola non è fuori luogo.
Ma c’è pure tanto di ginestra e macchia mediterranea che in bocca ritorna e si amplifica sulla spinta acida e sapida del sorso.
Un vino lungo come un pomeriggio di sole, rotondo ed affascinante come la Bellucci in Malena (o quasi).
Il Perricone di “GRANMASSENTI” è fedele al nome ed al territorio, ricco come il nome che porta ma mai spocchioso.
Forse poco siciliano al naso per la prepotenza dei frutti di bosco maturi accompagnati intensi sbuffi di rosa e contornati con quel “giusto” di pepe, ma talmente ricco di sfumature da giustificarne appieno il nome.
Anglosassone il sorso, quasi a ricordare l’importanza della “perfida albione” nel far conoscere ed apprezzare il vino siciliano.
“VUARIA” è interessante già di suo per il fatto di essere un CRU, ma nel mio contorto immaginario è misterioso ed ammiccante come una proposta fatta con gli occhi dalla donna più bella della serata.
Qui dominano la prugna e la ciliegia, mature come le more che fanno capolino, il tutto avvolto da delicate ma nette note di tabacco e cuoio.
In bocca, esplode caldo come te lo immagini ma freschezza e sapidità ne bilanciano bene l’irruenza accompagnando tannini fitti e mai spigolosi.
L’EVO
Ma la medaglia di FEUDO DISISA ha un’altra faccia: quella dell’olio EVO, declinato da 10000 piante di Cerasuola (le più grandi), Nocellara e Biancolilla, in 3 etichette (tra le quali spicca la monocultivar di Cerasuola).
Terreni collinari a 400-500 m slm, una raccolta effettuata dopo il 20 Settembre ed entro la prima settimana di Ottobre, ed un trasformazione operata tramite un frantoio Pieralisi a 2 1/2 fasi