Il 1963 segna l’inizio della storia aziendale con l’acquisto, da parte dei fratelli Pighin, di 160ha nella D.O.C. Grave fino a quel momento appartenenti ad una nobile famiglia friulana.
Nel giro di un decennio nasce la cantina di Risano (1968 ad opera dell’archistar Gino Valle) e l’Azienda riesce ad acquisire anche altri 30ha di vigneti nella D.O.C. Collio insieme ad un’altra cantina a Spessa di Capriva.
È alla fine degli anni ’70 che i vini iniziano a farsi conoscere in altri Paesi (Germania su tutti) e si arriva poi al 2005 quando l’Azienda (oggi una delle realtà più grandi del Friuli e di tutto il Nord-Est) viene rilevata in toto da Fernando (Pighin) che, coadiuvato da moglie e figli (Roberto era entrato in Azienda già nel 1985).
Ad oggi nulla è cambiato in quella filosofia aziendale che prosegue lungo la strada della valorizzazione del Territorio e nella ricerca di quella Qualità che parte necessariamente dal lavoro in campagna (le barbatelle provengono dai Vivai Cooperativi di Rauscedo) e che ha alla base un rigido controllo di tutta la filiera produttiva.
Dai ciottoli alluvionali delle Grave al flisch eocenico del Collio proviene una produzione ampia ed articolata; freschi, equilibrati, minerali e “facili” i vini (essenzialmente bianchi) nel primo caso, più complessi i secondi.
A Risano, la seicentesca villa veneta dove ha sede la Società, fa la guardia ai vigneti e custodisce la cantina storica dedicata all’affinamento dei vini rossi.
L’altro gioiello aziendale si trova invece a Spessa di Capriva, in quel Collio Goriziano universalmente riconosciuto come come una delle zone più vocate alla vitivinicoltura.
Chi mi conosce lo sa, ma confesso ancora una volta qui e a tutti che ho la tendenza a “storcere il naso” di fronte alle “grandi” produzioni, ritenendo che il Territorio venga meglio interpretato da quei Produttori che si impegnano su piccoli fazzoletti di terra.
Ma proprio qui ed ora, sono di fronte ad uno dei molti casi in cui la curiosità e la continua ricerca, mi mettono di fronte al contrario di quanto appena affermato.
E non ho nessuna difficoltà a confessare la mia grande stima per questa Azienda che, grazie ad una filosofia produttiva che, ben sapendo che la materia prima è il punto fermo da cui partire, unisce la tecnologia in cantina ad una attenta e costante ricerca della Qualità in campagna senza dimenticare quel “fattore umano” da cui non si può prescindere se si vuole dare senso compiuto al termine di “Terroir”.
E non me ne vogliano se le due righe di oggi saranno dedicate solo ad una delle Loro etichette, meriterebbero davvero di più, e prometto sin d’ora a loro ed a Voi un approfondimento in un futuro molto prossimo.
Il 2007 ha “tragicamente” eliminato “TOCAI” dal nostro vocabolario enologico introducendo quel termine “FRIULANO” che poco mi piace ma che avrebbe forse voluto identificare un Territorio in un Vino.
Sentimentalismi a parte, questo “FRIULANO” è territoriale al 100%.
Dietro una apparente semplicità si nasconde un naso complesso, giocato su temi essenzialmente erbacei e floreali ma che lasciano intravedere un po’ di frutta esotica che forse stona appena nel complesso del quadro olfattivo.
L’eleganza del naso è confortata da un assaggio pieno, sapido e lungo, che ben si accorda a piatti di mare, non disdegna abbinamenti più impegnativi e vedrei alla grande anche come semplice “tai” da spendere durante una chiacchierata con gli amici.
In enoteca a ca. 12€.