Ancora una donna
Antonella è una donna del vino.
Ma non solo nel senso del suo essere consigliera dell’Associazione Nazionale Donne del Vino, quanto soprattutto per il fatto di avere nel proprio DNA la passione per quanto riesce a produrre interpretando la porzione di DOC Colli Orientali del Friuli che coltiva.
L’Azienda
Azienda storica quella messa in piedi dal padre Alfieri (da cui il nome) in quegli anni ’60 che hanno segnato un po’ l’inizio presa di coscienza, da parte dei produttori friulani, delle potenzialità che il territorio poteva offrire al panorama enoico nazionale.
54 ettari di colline vista Abbazia di Rosazzo in quel di San Giovanni al Natisone.
In oltre 50 anni, di strada ne è stata fatta soprattutto inseguendo quella qualità che è il fine ultimo della produzione aziendale.
La Squadra e la “Mission”
In una elegante villa, Antonella, il marito Fabrizio (Ceccotti) ed il figlio Rodolfo, custodiscono meravigliose vasche di cemento, botti da lungo tempo abituate al loro lavoro, ma soprattutto la voglia di crescere e rinnovarsi mantenendosi però saldamente nel solco della tradizione.
Tagliata per il successo
Pur essendoci nata, il lavoro in vigna è ora nelle mani di Fabrizio ed Antonella si è ritagliata in Azienda quel ruolo di gestione commerciale che sembra essergli cucito addosso.
Grande comunicatrice Antonella!
Iniziandoci a parlare la sintonia è immediata, stante la comune opinione che separare il vino dal proprio contesto storico-culturale è follia.
Così come è troppo riduttivo attribuirgli caratteristiche organolettiche prescindendo dalle emozioni che riesce a suscitare.
E queste considerazioni non possono essere ancora più amare tenendo conto di un contesto temporale, quello attuale, che tutto assoggetta alla fretta ed al consumo inconsapevole.
Comunicatrice attenta e puntuale, giramondo per necessità; e tutto per far conoscere i propri vini al di fuori del Friuli e per confrontarli (e confrontarsi) senza paura con i blasoni di altri paesi.
Antonella ha ben presente le potenzialità del Territorio nel quale è inserita la sua Azienda, ha una idea ben precisa del risultato che vuole ottenere da quelle bottiglie che sono ciascuna una figlia e si impegna quotidianamente per promuovere la Qualità e la cultura del vino a 360°.
Nulla lascia al caso nel suo impegno di promozione, neppure la scelta delle etichette che, seppur (ma giustificatamente) un po’ ”troppo classiche” per i miei gusti, hanno nomi affascinanti, usciti da tempi di cui siamo ormai dimentichi: Canto, Poema, Epilogo, Prologo…nomi che invitano al confronto e suscitano, già di per loro, interesse.
Chi produce: il cosa ed il come
L’altra faccia della medaglia CANTARUTTI ALFIERI è il marito Fabrizio, le cui mani, in campagna, devono coccolare quegli impianti che hanno circa mezzo secolo (pochi quelli nuovi) e dai cui frutti nascono le circa 130000 bottiglie di oggi.
Innovazione nella tradizione dicevamo prima, e questo ha portato già nel 2005 a sperimentare in collaborazione con una Azienda americana, un nuovo ed unico sistema di vinificazione, che prevede il passaggio delle uve attraverso un condotto nel quale, tramite azoto liquido, vengono raffreddate a temperature prossime agli 0°C di modo che possano poi essere diraspate più facilmente mantenendo inalterato tutto il loro bagaglio aromatico.
Il risultato, nella degustazione, è un filo conduttore caratterizzato da uno stile perfettamente riconoscibile nella sua personalità.
I VINI
Sono tanti ed io ne scelgo tre a caso tra bollicine, bianchi e rossi.
Nel Friuli deil’eleganza dei vini bianchi e della potenza dei rossi di confine, “DIALOGO“, Blanc de Noirs (100% Pinot Nero), è un po’ il riassunto di tutta una storia.
“TALENTO” per Decreto del Ministero delle Politiche Agricole (andatevela a leggere voi la specifica della menzione) ma soprattutto per le qualità espresse e “DIALOGO” come discorso, confronto.
Quel confronto che Antonella non teme ed anzi ricerca per capire, per conoscere, per crescere.
E qui, per quanto ci sia sempre margine di miglioramento, crescere è davvero complicato visto il livello altissimo.
Non voglio dirvi nulla di questa bottiglia se non che è talmente complessa da essere semplicissima ci trovate quello che volete e la abbinate a quello che volete.
Non ci credete? Assaggiatela Voi e poi ditemi (oppure, meglio, prendetene una bottiglia in più ed invitatemi ad assaggiarla con Voi).
“CANTO” è mezzo Tocai, un bel po’ di Pinot Bianco ed un tocco di Sauvignon.
Un naso importante e territoriale, un cesto di frutta in cui c’è un non so che di banana che forse stona un po’ ma è peccato veniale.
In bocca il vino è anglosassonalmente corrispondente al naso e la frutta prima annusata ora è quasi masticabile.
Fresco, lungo, elegantemente solare.
“PIGNOLO” della storia di questo vitigno (in realtà una famiglia), della sua quasi scomparsa e del mio amore per lui Vi dirò un’altra volta.
Per ora Vi dico di quello di Antonella e della pazienza che un produttore deve avere per fare un vino così, aspettando, aspettando, aspettando che sia pronto…
Pignolo deve essere il produttore ma anche chi lo assaggia, perchè perderne le sfumature profonde che può regalare, sarebbe peccato mortale.
Colpisce con la frutta succosa e matura e dà il colpo di grazia con una potente mineralità solo in parte celata dalle delicate spezie e da richiami balsamici, ferrosi, da un umido sottobosco.
Anche qui la bocca non sorprende (se non per l’inaspettata freschezza), anzi: amplifica!