Loreto Aprutino, colline pescaresi tra l’incombenza di Gran Sasso e Majella da una parte e la vastità dell’Adriatico dall’altra, è terra di vino.
Valentini è sicuramente il nome più conosciuto e Torre dei Beati sta scalando le classifiche, ma qui, dal 1785 la Famiglia DE FERMO gestisce un patrimonio di 170ha di Territorio (a definirlo “terreno” mi sembrerebbe di fare torto alla filosofia aziendale) di cui il 10% vitato.
Pecorino, Chardonnay e Montepulciano i vitigni da cui si ricavano le ca. 40000 bottiglie prodotte.
E non stoni lo Chardonnay tra gli autoctoni visto che è un secolo che colonizza l’Abruzzo!
DE FERMO è l’Azienda biodinamica più grande d’Italia (segnalo con piacere l’EVO prodotto in versione monocultivar di Dritta ed il grano pastificato (potrei dire “ovviamente” vista la qualità del prodotto) dal grande Giovanni Fabbri.
Non mi vergogno a dire che non sono un fan di questo genere di conduzione agronomica, ma di fronte alle parole di STEFANO PAPETTI (proprietario assieme alla moglie ed alla cognata dell’azienda) non posso che provare profondo rispetto per tale scelta.
L’idea di conservare integro quanto si sta sfruttando del nostro pianeta, traspare da ogni affermazione di Stefano, ed il fatto che se l’onestà e le capacità si incontrano qualcosa di buono salta fuori, ce l’ho sotto il naso.
Posto che mi ripropongo di scrivere qualcosa di più organico e dettagliato un’altra volta, mi limito qui a due parole sulle pratiche enologiche messe in atto da questo avvocato prestato (o traghettato) alla campagna.
Proprio due perchè in realtà, da dire c’è molto poco, visto che Stefano ha deciso di recuperare e conservare quella che era la tradizione abruzzese in campagna ed in cantina.
Nella prima le pratiche biodinamiche consentono di preservare il suolo e di portare in cantina le uve più consone alla produzione di quello che lui definisce un vino “agricolo” (dico solo le uve migliori perchè la gran parte della produzione viene tutt’ora conferita a terzi, cantine sociali comprese).
Inutile parlare delle rese bassissime e dell’uso di lieviti unicamente indigeni, botti grandi o bellissime vasche di cemento recuperate all’abbandono, nessuna filtrazione e chiarifica, solforosa al minimo.
Qui, oggi, vi dico del Cerasuolo “LE CINCE” 2018, un vino che mi ha colpito profondamente non solo per il mio amore verso la categoria, ma perchè meglio di tutti esprime la sintesi perfetta tra la storia, il territorio e la visione che Stefano ha del vino.
Questo è “quel” Cerasuolo che storicamente rappresenta la memoria del vino in Abruzzo.
Dico questo perchè la tradizione non prendeva in considerazione il vino bianco e quello rosso era definito “tinto”.
Montepulciano 100%, torchiatura morbida (in Azienda c’è un bellissimo torchio verticale di legno e metallo rosso fiamma), niente salasso e 6 mesi di botte grande prima di finire in bottiglia.
È un vino di grande polso, Montepulciano nell’anima e fino al midollo, vegetale e minerale, sapido e floreale senza dimenticare accenni di quel grano di cui vi ho detto.
E se avete la forza di tenerlo un po’ nel bicchiere, arrivano frutti rossi in quantità e quel giusto di spezie che lo rendono ancora più intricante.
Di grande beva nonostante la struttura importante.
Non lo conoscevo ma entra di diritto tra i miei riferimenti per la categoria.
In enoteca intorno ai 20€.