INTRO
È un Marzo di bufera a Roma, quando decido ancora una volta che non si può dire senza prima assaggiare.
La destinazione è dunque VINNATUR, il festival dei vini naturali (o dei buoni aceti?).
Obiettivo: la batteria Slovena con i suoi vini macerati e qualche amico produttore da salutare e prendere in giro.
Ed è colpa di Massimiliano D’Addario alias Marina Palusci alias l’Uomo di Ferro se Joško Renčel diventa per me da co-starring a obiettivo principale della serata.
INCONTRO #1
Chi mi conosce sa che non ho peli sulla lingua e che non ho difficoltà ad esprimere opinioni in consessi spesso contrari ed è quindi esordendo con il classico “a me non piacciono i vini naturali” che mi presento al tavolo di Joško accolto da un sorriso ed un “allora che ci sei venuto a fare qui”?
Il tempo si ferma il caos degli sbevazzatori sembra essere altrove e mi perdo in un mare di profumi e sensazioni che credevo ormai impossibili da registrare; assaggio tutto, anche di più, anche qualche “fuori catalogo” e, a parte una lieve sbavatura (forse) è tutto non solo BUONO, ma soprattutto CORRETTO! Corretti i vini e corretto il Produttore.
Lascio controvoglia il tavolo con la promessa di un arrivederci in Slovenia alla prima occasione.
L’OCCASIONE
Il Friuli mi accoglie come tutti gli anni con il suo freddo calore e con la prospettiva di lunghe giornate perse non tanto in cantina quanto a scegliere il Produttore cui far visita.
Ogni anno è peggio! ogni anno aumenta l’incertezza tra l’andare a salutare gli Amici e l’andare a conoscerne altri (il tutto cercando di non far torto a nessuno, me compreso che vado ad assaggiare sempre con piacere).
Ma in un’agenda così confusa, è già stata ritagliata una giornata da dedicare alla Slovenia di Renčel (gli altri produttori della Brda mi perdoneranno ma ci saranno altre occasioni).
DUTTOGLIANO
L’Autostrada mi porta a Trieste (TRST visto che varcherò il confine) e da lì direzione Basovizza (ve ne riparlerò più avanti) e poi quel confine segnato oggi da una decrepita costruzione che fa immaginare l’agio dei militari che vi trascorrevano le lunghe giornate pre-caduta del muro.
Dal confine ci vogliono 15 min. di curve che conosce solo Google Maps per arrivare a DUTOVLJE (Duttogliano) e scoprire che in un mondo di cantine progettate dall’archistar di turno, c’è ancora quello cui poco importa dell’occhio e concentra tutti i suoi sforzi sulla sostanza (e qui, lungo la Kraška viska cesta, non è l’unico)
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È il numero civico dalla HRAM (cantina), il casolare, il laboratorio, là dove 3 ettari dei “più interessanti tra i suoli terrestri” (terre rosse, argille e pietre carsiche unite a formare quello che qui chiamano Kremen), vengono interpretati magistralmente dall’arte enologica di Joško.
Arrivo che lui è al lavoro e voglio immaginare gradisca questa mia visita che gli concede un attimo di pausa; fa molto caldo ma rispetto a Trieste è tutta un’altra storia, non c’è la BURJA (bora) che qui arriva veloce, ma la ventilazione è costante e contribuisce non poco a mitigare il tasso di umidità.
ATTORNO AL TAVOLO
L’ARTE DI FARE IL VINO
Joško non parla molto bene l’italiano ma, prima ancora che io inizi a tempestarlo di domande, mi spiazza con un: “Cosa vuoi bere”? mai domanda poteva essere più sbagliata! TUTTO! cioè, tutto quello che rappresenta la filosofia produttiva di Renčel!
Josko torna dopo poco con un Terrano rosato, un vino “per quando fuori ci sono 30°” come dice lui; che dire, ora è un gran bell’aperitivo, ma la sera, con la pizza, sarebbe perfetto!
Che Joško, più che un vignaiolo, sia una sorta di scienziato pazzo lo si capisce già dai numeri che mi snocciola: 3.5 ha (e neppure tutti concentrati), 10,000 bottiglie, 8 varietà tra autoctone e no (Terrano e Vitovska su tutte), 22 (VENTIDUE!) etichette (e per non farsi mancare nulla: pure aceto balsamico).
Tanta pergola e qualcosa a guyot il nuovo sauvignon allevato a cordone speronato.
E ‘sto rosato che placa la mia sete? Questo in acciaio, il resto: botte per 1-2 anni e poi tanta attesa.
Anfore? Una sola, che però è proprietà di un cliente che ha specificatamente chiesto a Joško: “fammi il vino così”.
Ed in cantina: impostazione naturale, lieviti indigeni, niente chiarifiche e filtrazioni, solfiti “alla bisogna” ma spesso anche no (e lo stesso Joško confessa risultati altalenanti), macerazioni ed affinamenti in legno lunghi…In bottiglia? quando crede sia giunto il momento.
L’INCOMINCIO DELL’ASSAGGIO
E mentre le bottiglie sul tavolo aumentano e già capisco che mi si preannuncia l’assaggio di una batteria di etichette formidabili, si chiacchiera di qualità, di aceti spacciati per vini, di ristoratori e pseudo-intenditori, e ti arriva anche il Renčel norcino, quello che si fa il prosciutto in casa, lo fa come i suoi vini e non ha difficoltà ad indicarti chi lo fa come lui ma lo vende anche comprare (a Kreplje).
Il Prosciutto del Carso (di cui a Dutovlje si fa pure un festival) è diverso dal prosciutto che conoscete per forma, preparazione e stagionatura; il Kraški pršut è il signore degli insaccati ed è uso offrirlo per ONORARE gli ospiti.
In corretto abbinamento c’è un’altra interpretazione di quel Terrano che lui riesce a declinare in mille sfaccettature: 2015 (3 anni in botte) sull’etichetta ma buono tra 4 o 5 anni nelle mia testa tanta è la sua freschezza.
È poi la volta di una delle tante sfide intraprese, quel Pinot Nero che è forse l’unico ad avere il coraggio di allevare in questi territori; solo 5 viti ed 5 litri di vino nel 1997, vinificato in bianco nelle annate no e raccolto surmaturo in quelle buone (lo aspettano poi 4 anni di botte).
2015 anche in questo caso ed una eleganza che, nonostante la giovinezza, già fa intendere il grande destino cui è destinato.
E poi Vitovska 2013 (solo 280 bottiglie): 20gg di macerazione, acciaio e poi botte. Un vino unico, con una persistenza infinita.
Sauvignon 2003: malolattica e poi profumi che non conosci!
THE END
Kras Cru 2008: quello che lui definisce “il mio Amarone” (Terrano, Merlot e Cabernet Sauvignon); appassimento dei grappoli per due mesi in cassetta e poi 4 anni in barrique. Un vino che confessa di non aver “inventato” lui, bensì un certo Lozar, un vecchio aristocratico locale che, prima della guerra, decise di provare ad appassire parte delle uve per innalzare del giusto il grado zuccherino di vini succubi di un clima più rigido di quello attuale.
E siccome sembravano pochi, arrivano Malvasia passita 2003, Cherry 2003 (in realtà Terrano passito in puro stile soleras che VUOLE un gran sigaro in abbinamento), Negra 2006 (Terrano e Cabernet Sauvignon per meditare a lungo e SENZA fretta) e per concludere, anche uno dei più cari della zona, quel Micarone 2003 (Cabernet Sauvignon appassito in cassetta) che davvero sembra un Porto…anzi: meglio!
Sono vini costosi (lo dice lui stesso) ma in questi casi, il mio concetto “democratico” del vino, va a farsi fottere e non potrebbe essere diversamente.
S’è fatto tardi, per Josko che ha da fare e per me che sento di dover mettere qualcosa nello stomaco.
Con Joško ci sarà modo di incontrarsi ancora per imparare da lui ancora un sacco di cose; l’appuntamento è a prestissimo.
SI DEVE PUR MANGIARE
La macchina ci porta quasi automaticamente da NA BURJI, una delle mete per camionisti consigliate da Chef Rubio.
Un tavolo all’ombra del bosco, birra slovena alla giusta temperatura (GELATA), e specialità locali; un ambiente che mi riporta alla YUGO che era qualche anno fa, con tanto di carte geopolitiche, bandiere stellate e busto di Tito in bella mostra.
Alzarci dal tavolo ci mette duramente di fronte al fatto compiuto di aver esagerato con coltello e forchetta, ed è a fatica che risaliamo in macchina ed in breve arriviamo a quella Basovizza la cui foiba è triste testimone di quanto la guerra possa far regredire la specie umana.
Basta una sosta breve per capire che non è solo il caldo torrido di questo solitario lembo del Carso a farci stare male.
E così ci riaffidiamo alle indicazioni di Google per tornarcene a casa seguendo rotte alternative, perchè il Carso è così: duro e solitario, ma in giornate come questa, sa regalarti emozioni che ti fanno sentire vivo.